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Dened

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2014 09:56
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Sesso: Maschile
24/07/2014 09:49


karma attuale: 660



BG


Ís, ghiaccio.

Quando nacqui gli scafi assiderati delle imbarcazioni tirate a secca sulla riva erano bianchi di gelo e il mio pianto fu l'unico rumore a profanare la solenne immobilità dell'inverno; la terra di ghiaccio non è luogo per deboli: se si sopravvive i primi giorni si deve lottare il resto della vita perché il proprio respiro non si congeli ancor prima di lasciare le labbra. Mi accolse un villaggio di un centinaio di individui, una dozzina di cani irsuti e duecento capre scheletriche che appena le nevi si scioglievano inerpicavano frenetiche lungo l'orrido alle spalle dell'accampamento per miserabili ciuffi d'erba; opposte alle gole di roccia bianca svettavano scogliere lucide di sale si gettavano mare d'Islanda: la grande gloria dei miei avi.

A otto anni venni affidato a Radag, il fabbro; alla forgia era annesso un alloggio per gli apprendisti: un'agiatezza rara per chi come me trascorreva una metà delle giornate rincorrendo le bestie abbarbicate sul crinale e l'altra a scrutare le navi lasciare il golfo e sbiadire nella luce dell'alba. Mio padre risolse che avevo braccia robuste e sarei potuto diventare un uomo forte nel corpo e agile di mente: la fucina mi avrebbe insegnato più di quanto avrebbe potuto fare la mia stessa famiglia; cercai di tenere a freno la mia arroganza di ragazzino irriducibile, ma con il senno di poi gliene fui grato: aveva ragione.
Lontano da noi, nell'eire, le battaglie infuriavano: si raccontava che la terra fosse gonfia di sangue e picche e lame spuntassero dal terreno gelido simili ad alberi divelti; se da un lato si doveva biasimare l'ignoranza umana che preme a massacrarsi per un avanzo di terra, dall'altro potevo solo esserne felice: alla fucina c'era più fervore in quegli anni che negli ultimi due secoli. Navi irlandesi attraccavano vuote e ripartivano dopo qualche giorno stipate delle migliori lame del il nord può vantare. E d'inverno il carico di lavoro non calava - là si combatte anche se non si vede ad un palmo della propria ascia a causa delle bufere -: con il freddo che si insinuava anche sotto la pelliccia di tasso e nonostante il calore della forgia sempre attiva, il mio corpo giovane dovette abituarsi. Il fabbro millantava poca dimestichezza con i ragazzini, tanto da lasciarmi all'addiaccio per ore e, a ben guardare, nonostante ci volesse bene, pareva a momenti provasse un certo, cinico diletto: lui aveva dei figli, ma vivevano sotto altri tetti, e a malapena ricordava i loro nomi. L'inverno fu il mio vero maestro. Con le prime nevicare ogni porta della fucina veniva spalancata per smorzare il calore che ingorgava i locali e noi apprendisti, dal primo all'ultimo, fummo costretti a fare i conti con noi stessi: chi si dimostrava abbastanza robusto avrebbe avuto salvo il posto, chi invece si lasciava sedurre da condizioni meno logoranti veniva prontamente allontanato. Le forme in ferro da addossare alle braci sembravano sempre troppo pesanti e il fiato mai abbastanza, ma preferivo arrivare al tramonto stremato piuttosto che passare in ritirata con la coda tra le gambe. Anni dopo questi sacrifici iniziarono a dare i loro frutti: resistevo alla fatica più degli altri garzoni, sia nelle caldane della fucina che nell'algida stretta della notte nordica, tanto da guadagnarmi, nella bella stagione, qualche ora di libertà.




Eldur, fuoco.

Il buio era pesto quando, la notte di un anno più tardi, fui svegliato all'improvviso da urla strozzate: venni sbalzato dal pagliericcio da Barger, uno dei garzoni più rodati, con cui ero costretto a dividere il giaciglio data la carenza di brande nel retrobottega. L'odore acre del fumo era penetrato sin lì; ci scambiammo un'occhiata e in pochi secondi ci ritrovammo entrambi a bestemmiare l'intera progenie di Odino: oltre la porta, la fucina stava bruciando. Balzai verso l'uscio - il tramezzo di fondo era troppo spesso per sperare di abbatterlo -, ignorando le proteste di Barger e degli altri tre ragazzini che nel frattempo si erano svegliati, e diedi un calcio alla porta, gonfio dell'orgoglio adolescenziale di cui non ero mai riuscito a fare a meno: volevo salvarmi, volevo salvarci. Davanti a me lingue di fuoco stavano divorando il deposito. La tempra che avevo acquisito mi diede la certezza di poter attraversare quegli inferi, e non a torto, ma la speranza si smorzò in fretta; cercai una breccia tra le fiamme, sprangai gli occhi per proteggerli dal fumo che aveva invaso il locale, inciampai contro qualcosa, verosimilmente una trave che aveva ceduto, e caddi. Ricordo di aver battuto la testa, ricordo il fetore della mia pelle bruciare. Forse gridai, forse mi maledissi in silenzio, oppure pregai per sopravvivere; non ricordo: ho persino dimenticato le grida di chi si accorse del rogo e salvò il salvabile.

Riuscirono a recuperare me e i due allievi più giovani, Barger e l'ultimo garzone morirono cercando di abbattere la parete del nostro alloggio. Durante le veglie che intervallavano lunghe perdite di coscienza sentivo le voci di chi si avvicendava alla mia branda dipingere per me il fato del ragazzo coraggioso che era riuscito a mettere in salvo due compagni a scapito della propria integrità; lì per lì non capivo, e nemmeno oggi ho memoria quei minuti convulsi: una parte di me giurava di aver tentato di salvare anche gli altri, l'altra era certa di aver lottato per me solo. Il curatore del villaggio disse che l'impatto con uno zoccolo in pietra che demarcava il focolare aveva logorato alcuni nervi, rendendomi guercio dall'occhio sinistro: era tutto un forse, e la presunta giustizia divina rappezzò la sentenza in più punti; d'altro canto quel taumaturgo non aveva le conoscenze tecniche che si possono ostentare altrove: nella terra di ghiaccio la scrittura serve a nulla e i manuali vengono depredati dal gelo intenso senza che ce ne si accorga. Quando mi ripresi, ridacchiò sussurrando che gli ricordavo il grande Odino dopo che si era strappato un occhio per offrirlo al gigante Mímir ed attingere idromele da Mímisbrunnr, la fonte della saggezza. Tuttavia non mi sentivo più assennato di prima; le altre novità erano un'ustione lungo il braccio destro, un mal di testa disumano e il sapore del mio stesso sangue raggrumato su denti e gengive; ma niente idromele, purtroppo.
Avevo diciassette anni e avevo perso la mia unica fonte di sostentamento - della fucina restava qualche asse carbonizzata e l'incudine scurita dal fumo -, pensavo di potermi rimettere in sesto come se nulla fosse accaduto: in un modo o nell'altro ero certo che ci sarei riuscito, ma orami il mondo era tagliato a metà di netto, con scrupolo agghiacciante. Ad ogni veduta mancava una parte, ad ogni azione il doveroso margine per evitare gli incresciosi incidenti che incudine e martello regalano ai distratti. Per non gravare ulteriormente sulla mia famiglia partii appena ebbi modo di ricompensare l'anziano che mi aveva medicato e guadagnare abbastanza per permettermi un viaggio oltremare; mi diressi verso la guerra, lì di sicuro avrei trovato di che vivere: anche un cieco è buono per forgiare armi, quando ci sono in ballo le cuoia.




Vindur, vento.

Attraversai il mare del nord a bordo di una nave con lo scafo incrostato di ghiaccio, carica più di bestie che di uomini e mercanzie di ogni genere, trovai impiego come ferraio in un villaggio a nord dell'Eire che riforniva le coste devastate dalle guerre: nulla di tecnico e che richiedesse conoscenze lungi da quelle che un uomo privo d'istruzione potesse avere, solo molta resistenza, e altrettanta caparbietà. Si trattava di battere i ferri ardenti che da ultimo venivano rifiniti da chi se ne intendeva, ma impiegai tempo per recuperare la cadenza che aveva fatto di me uno degli allievi più brillanti di Radag: l'ustione, tendendo la pelle del braccio e della spalla, ostacolava le mie azioni, mozzandomi il respiro come solo il vento d'islanda, a suo tempo, seppe fare. Superare il limite del giorno precedente era diventato un chiodo fisso: un minuto in più di fatica - poco importava se le ombre del crepuscolo limitavano la mia vista già compromessa -, uno sforzo in più, sopratutto quando il clima della stagione fredda sfidava la resistenza dei comuni mortali. Gli dei, ferendomi nel corpo, avevano voluto ricordarmi che sono solo un uomo, ma tuttavia era giunto per me il momento di rammentare loro che un uomo, pur con i suoi vincoli, può comunque molto. Poco a poco guadagnai la stima degli anziani del clan presso cui mi stavo guadagnando da vivere, trovai una compagna -Calha- tra le donne del villaggio e allevai - una volta ebbero messi i denti - i due figli che mi diede; il terzo la uccise venendo alla luce. Fino a quel momento, con loro, avevo vissuto dividendo una capanna con il fratello di Calha e la sua famiglia: contribuivo al meglio delle mie possibilità, ma in un modo o nell'altro i miei sforzi non erano mai pari a quelli degli altri adulti della dimora, non subito, almeno. Emer, il capofamiglia, consolidò la promessa di accoglierci presso la propria casa: ormai eravamo parte di quella dimora ma, malgrado il suo buon cuore, lasciai il villaggio con la passabile certezza che tale partenza era suggerita dalla speranza di consentire un futuro ai miei figli ed onorare il nome della mia compagna.




Rigning, pioggia.

Promisi di tornare, ma ad oggi sono in viaggio da sei anni, in direzione sud-est; a conti fatti, sia Emer che io sapevamo che avrei avuto poche possibilità restando al villaggio: la donna che avevo amato e legittimava la mia appartenenza al clan era morta, i miei figli avevano bisogno di un tetto e io - ora che alcuni focolai di guerra si stavano estinguendo - non ero più la garanzia di un tempo. Il cielo l'ho perdonato tempo fa per quel che mi ha fatto, ma gli uomini li maledico tutt'oggi. Ieri sono entrato a Barrington, un letamaio britannico come molti altri, così diverso dai piccoli villaggi annidati nel ghiaccio d'Islanda. Stretto in pugno il ciondolo d'osso che i miei figli mi hanno dato nel salutarmi per l'ultima volta. Aspettavo di sentirmi frenare da una collera finalmente pari all'affronto che stavo compiendo, ancora e ancora, sperando che avrebbe lenito il mio dolore e sarebbe stata a tal punto convincente per i testimoni di questo barbaro spettacolo da far credere agli irlandesi che al centro di tutto ci fosse un uomo vivo, e quell'uomo fossi io. Ma io non sono un uomo qualunque. È vero, in un certo senso lo sono, ma in un altro senso, più profondo, no: una sorta di libertà, una sensazione che mi conquista perché inaspettata, l'occasione di liberarmi dall'obbligo di essere l'eroe, come un tempo ci si aspettava che fossi la promettente ombra del fabbro, ed essere semplicemente un uomo. Forse è questo il vero dono di Odino per me, forse è questo il mio riscatto.





PG


allineamento: caotico neutrale
provenienza: islanda (clan nordico)


occhi: verdi *
capelli: ramati
1.80 m x 85 kg

* cieco dall'occhio sinistro

Capelli lunghi fin sotto le spalle, barba rossiccia sfatta e la carnagione di chi ha trascorso anni in riva al mare del nord: il volto è sciupato e screpolato dal vento gelido, la pelle degli zigomi tirata dal riverbero del sole sul ghiaccio. Costituzione allenata, esteriormente trasandato; sulle mani resiste qualche cicatrice che si è procurato guadagnandosi da vivere come ferraio in eire.

segni particolari: ustione su braccio e spalla destra
oggetti: pendente d'osso annodato a un laccio di spago
lingue conosciute: irlandese e comune, ricorda poco l'islandese

skill richiesta: resistenza I

OFFLINE
Post: 1.759
Sesso: Femminile
24/07/2014 09:56

Un gran bel bg mi piace un sacco come lo hai strutturato!!!


BG APPROVATO
allineamento: caotico neutrale
Terre di provenienza presenti: islanda - CENSIRSI CLAN NORDICO
Descrizione fisica presente
cieco dall'occhio sinistro
ustione su braccio e spalla destra

OGGETTI DA FAR FARE A MDM NON APPENA POSSIBILE : pendente d'osso annodato a un laccio di spago

lingue conosciute: irlandese e comune, ricorda poco l'islandese

SKILL APPROVATA RESISTENZA 1


SCHEDA GIOCO AGGIORNATA

Per le successive skill rivolgersi in area approvazione skill generale

Edave
Rettore degli Ospitalieri di Avalon
Wendingo Mannari



L'opinione è un'idea che possedete voi mentre, la convinzione, è un'idea che possiede voi.




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