Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

Etain

Ultimo Aggiornamento: 13/04/2016 16:46
OFFLINE
Post: 2
Città: MILANO
Età: 22
Sesso: Maschile
11/04/2016 14:24

richiesta approvazione BG
Nome: Nome di nascita Marie, soprannominata Dhaut, chiamata Cailin prima, cambia il suo nome in Etain.
Altezza: 170 cm
Occhi: verdi
Capelli: neri

Descrizione fisica: Ad un primo sguardo, non sembrerebbe che una ragazza giovane, tanto giovane, con gli occhi grandi e luminosi, il volto angelico e armonioso, i lunghi capelli corvini e qual corpicino magreo, fragile, quasi immaturo.
Ma avvicinatevi.
Noterete gli occhi profondi, spesso sbarrati, quasi terrorizzati. Sentirete la sua voce, melodica, ipnotica, il canto di una sirena. Vi incanterà coi suoi movimenti armoniosi, aggraziati e misurati.
Quello che non vedrete, sta a voi scoprirlo.
Per qualcuno lei è Etain, l'irlandese. Pochi conosceranno Dhaut.

Allineamento morale: legale malvagio

Terre di Provenienza: Kemper, Bretagna. Poi Dublino, e nord dell’Irlanda.

Richieste: visti i viaggi fatti dal pg, chiederei la conoscenza della lingua francese, inglese\gaelico. E la skill sotterfugio liv I. nella parte finale del bg il personaggio vive alcuni eventi che le fanno apprendere almeno in parte l’arte dell’inganno.

Terre di Provenienza: Kemper, Bretagna. Poi Inishmore (Irlanda), e nord dell’Irlanda.

la storia, finora

AD 1100 – Karnag- Kermario

Un fruscio dalla foresta, le ombre si allungano. Tramonto. Una donna esce dalla vegetazione folta che si apre per lasciare spazio ad una lunga interminabile colonna di menhir, rigorosamente allineati uno dietro l’altro come soldati in attesa, un corteo d’onore pronto ad accogliere l’ospite che arriva. Ma arriva senza scorta, senza lacchè e senza servi. Arriva sola, scalza, moribonda.
Karnag è passata da poco, ormai solo uno sparuto villaggio perso nella nebbiolina che sale dal terreno nell'ora che precede il tramonto. Le voci ora sono lontane, ora.
La donna corre tra le sacre pietre, corre come avesse il demonio alle spalle, non si cura delle sterpaglie che feriscono le sue gambe seminude, corre accanto alle pietre prima, nel corridoio centrale poi, diretta verso la fine della lunga processione di monoliti. Si odono voci lontane provenire dalla boscaglia attorno. La stanno cercando, la stanno cercando!Ma lei le ignora e continua la sua folle corsa.
Porta un grave peso, un grave fardello. Un peso che le ha reso schiava la mente, rubato la ragione che l'ha resa folle. C'è una figlia dentro di lei, lo sa, lo sente.
Giorni e giorni si cammino, da sola, guidata dalla follia di qualcosa... qualcosa...qualcosa che solo lei comprende, una voce che solo al suo orecchio ha sussurrato parole terribili.
Ed eccolo Kermario finalmente. La meta di questo assurdo pellegrinaggio. È stato duro il viaggio, lungo per una donna ormai prossima al parto, sola. Scalza. Ferita. Resta ferma un attimo in piedi, il vento freddo dell’inverno che sferza il viso solcato dalle lacrime, rischiarato da un assurdo, folle sorriso. Il vestito logoro, i piedi scalzi e sanguinanti, porta la mano alla fusciacca, ne estrae un pugnale,uno di quelli che i sacerdoti usano nei loro riti un athame terribilmente affilato dalla lama leggermente ricurva. Sorride. Non corre più. Non c’è più ragione ormai. Avanza lentamente, con quella solennità che il freddo, l’inverno e il dolore non cancellano in chi per una vita intera ha camminato a testa alta tra la sua gente, prosegue il suo cammino contro il vento dell’inverno che le sferza la faccia, rabbrividendo ad ogni passo, al contatto col terreno congelato, soffermandosi di quando in quando sconfitta dalla fatica, dal dolore che annebbia i sensi, che sconvolge la mente, serrando gli occhi in preda alle fitte. Fitte al ventre, dolori lancinanti: il tempo è finito. Barcolla, ma senza che le gambe cedano. Avanza verso le pietre erette, verso il centro di quell’assurdo corridoio, sul volto si fa più ampio il sorriso folle, un filo di bava scende dalle labbra, lo sguardo è lontano ormai, assente, perso, occhi sbarrati che fissano l’inferno o il paradiso. Il viso si contrae a momenti per il dolore che la creatura che tenta disperatamente di venire alla luce le provoca, soffoca conati di vomito, un urlo muto sibila dalla bocca orrendamente aperta … ma lei avanza, stringendo nella mano destra l’athame. Una lama fredda che lascia scivolare sul ventre, una lama fredda che risplende degli ultimi bagliori del tramonto. Non c’è nessuno ora, nessuno a osservarla a seguirla. Le voci sono eco lontani.
Il respiro affannoso, sangue e liquido amniotico le colano tra le gambe. Ma lei avanza verso la fine della processione di menhir, verso quello che sembrerebbe un altare.
Attorno, voci sempre più vicine. La chiamano, la cercano.
Una lacrima, poi un’altra. Piange, piange, piange mentre si trascina sanguinante fino al centro del corridoio di pietre, sussultando ad ogni contrazione, sussultando ad ogni passo, le mani che si stringono al ventre ma senza mai lasciare l’athame. Un passo, un altro… continua ad avanzare finchè non saranno le ginocchia a cedere sotto il peso di un dolore antico e crudele, come nessun’altro sa essere. In ginocchio davanti ad un altare, come una penitente, una pellegrina.
Non ci saranno urla. Non ci saranno lamenti, solo un sospiro strozzato, perso nel vento mentre le ginocchia toccano terra e le braccia avvolgono il ventre, un ultimo disperato tentativo, che non sia l’impatto col terreno ad uccidere la creatura che porta in grembo. E poi il dolore che lacera, che rende ciechi, che ottenebra la mente. Arriva a ondate come la risacca. Ogni volta più forte. Annaspa, come in cerca di un’aria che non trova, in ginocchio, mentre in un ultimo folle sforzo solleva di scatto il busto, le braccia alzate verso il cielo, lo sguardo folle, isterico, come posseduto perso tra le nubi, verso la tremula luce della prima stella della sera. La mente folle ormai schiava del dolore, incurante del liquido che le cola tra le gambe divaricate e che ormai le impregna la veste.
Un sussulto la scuote. Il tempo è finito.
Il sole sparisce dietro l’orizzonte. Presto le tenebre avvolgeranno la terra.
Voci sempre più vicine.
Passi sempre più veloci, un uomo compare dalla boscaglia, la vede, corre...
Ma lei solleva le braccia sopra la testa, alte, tese verso le nubi trafitte dagli ultimi raggi del sole. Le dita delle mani avvolte attorno all’athame che rivolge al cielo la sua lama.
“per te… mia signora… mia madre… mia dea!”. Solleva le braccia sopra la testa, alte, tese verso le nubi trafitte dagli ultimi raggi del sole. Le dita delle mani avvolte attorno all’athame che rivolge al cielo la sua lama. Il collo che si piega indietro in un ultimo disperato sforzo, gli occhi che si chiudono al mondo, per sempre. Un rumore secco, lama che fende la carne, lama che si tinge di rosso, che affonda alla base del collo, diretta crudele e decisa verso il cuore. Il suo cuore, non quello della creatura che porta in grembo. Gli occhi che si chiudono per sempre al cielo. Un tonfo. Poi il silenzio. Passi di corsa. Molti passi corrono tra le pietre. Sempre più vicini, sempre più vicini…


AD 1110 - Kemper

-BUGIARDA!- e poi lo schioccare di uno schiaffo. Uno di quelli sonori, che lasciano il segno, tirati con tutta la forza che la rabbia è in grado di risvegliare. Una chioma rosso fuoco oscilla baciata dagli ultimi raggi del sole morente in una sala dalle pareti bianche. Il suono sordo di qualcosa che sbatte, della carne che sbatte contro il pavimento. Una giovane donna risolleva una bambina dai capelli di rame dal pavimento, la osserva solo un attimo come a volersi assicurare che stia bene, poi si inginocchia davanti ad un’altra bambina, capelli neri e occhi verdi come la menta, seria e tesa, di poco più grande di quella dai capelli rossi che tra le lacrime si massaggia la guancia con gli occhi spaventati, fissi sulla bimba davanti a lei che l’ha appena colpita, che le ha dato della bugiarda.
Marie, la bimba dai capelli scuri e gli occhi sbarrati l'amica\sorella dai capelli rossi che con uno schiaffo ha spinto violentemente a terra, la osserva furente, il respiro affannoso, gli occhi gonfi di chi ha pianto inondati di nuove lacrime. Le guance paffute rosee contro la carne pallida baciate dalle poche ciocche dei capelli neri come la notte che sfuggono all’acconciatura. Ha il portamento già di una nobildonna, assurdo per una bambina tanto piccola. Vesti eleganti, profumate, morbide e calde. Ha lo sguardo grave, serio, composto.
La giovane donna dai capelli rossi così simili a quelli della bimba ancora per terra le si avvicina di nuovo, scuote piano la testa, gli occhi già gravidi di lacrime “oh, piccola Marie…” sussurra. E la bimba ancora in piedi non si sposta, non abbassa il braccio ancora sollevato, nemmeno quando la donna la cingerà tra le braccia come solo una madre saprebbe fare.
Non abbassa il braccio alzato, quello che ha colpito con una furia inaspettata una bambina poco più piccola di lei.
Non ricambia l’abbraccio, continua a fissare la bimba dai capelli rossi, lacrime le solcano il viso, lo sguardo è assente mentre la giovane donna la stringe al petto come si stringe qualcosa di delicato, di fragile. Piange anche lei mentre accarezza i capelli neri della bambina, mentre sussurra al suo giovane orecchio“non piangere… non piangere… andrà tutto bene…è con dio ora…” .
-il giorno successivo -
Una processione silenziosa avanza nella bruma della sera. Nessuno parla, nessuno ha voglia di dire alcunché di un uomo nobile di nascita ma povero per destino, ricco solo dell’amore della moglie e dell’affetto che provava per la figlia che non è sua figlia. Non una parola per accompagnare l’abbraccio della madre terra al corpo di un uomo che ha lasciato tutto per combattere per il suo dio in terra straniera.
E che per un beffardo scherzo del destino, è perito prima di arrivare oltre i confini del regno, non si sa se per mano dei briganti o dell’età ormai troppo avanzata.
C’è solo un sudario sporco e lacero ora ad avvolgere il sentimento che spinge un uomo buono e amato dalla gente a lasciare tutto in nome di dio che si rivela solo a pochi. Un canto sommesso, le parole di un chierico. Cosa dice? non le ascolta la bimba dagli occhi di menta immobile accanto alla fossa, ma osserva il sudario, la mano destra stretta dalla donna che da giorni l’accompagna, la stessa che l’ha stretta al petto solo ieri in una sala baciata dal sole.
Dietro di loro una donna anziana osserva la scena con gli occhi disperati di chi vede inghiottito dalla nuda terra il corpo di chi per tanti e tanti anni ha amato. Anche lei non stacca lo sguardo dal sudario mentre appoggia una mano tremante sulla spalla della bambina “Marie… piccola mia. Non piangere. Tuo padre è con dio ora…” un sussurro, una carezza trai capelli d’ebano. Abbassa il capo, sospira. Ma non piange. Gli occhi sbarrati, tristi assenti. Non c’è ora la mente. È ancora al giorno precedente, alla giovane donna che e a sua figlia in attesa nella sala, mentre al sicuro dietro una porta sottile ascoltava…

-mamma… mamma andiamo a casa non voglio stare qui!-
-non essere sciocca Anne, e non comportati male-
-non voglio incontrare la bambina maledetta! Mi fa paura lei…-
-taci piccola sciocca!-
La bambina dai capelli rossi deglutisce. La voce trema.
- È vero che è nata da un cadavere? Dicono tutti così… la nonna non vuole che la guardi negli occhi. Dice che cammina di notte e parla con gli spiriti nel buio…dice che lei la figlia del demonio… è Dahut…- la voce si perde in un sibilo, si fa ancora più tremante nel pronunciare quel nome.
-taci ora! Sta arrivando qualcuno. Ricorda che Marie è la figlia di monsieur Gilles, e monsieur Gilles è il proprietario di tutte le terre che vedi fin oltre l'orizzonte, porta rispetto! -
-ho paura mamma… potrebbe essere dietro la porta e ascoltarci. E se ci sentisse? Ho paura. Non voglio più giocare con lei. Dicono che è cattiva, che ricambia il bene con il male, che ha preso anche l’anima del signor Gilles, che l’ha mangiata e l’ha portata in fondo al mare alla città perduta. È maledetta… mamma, mamma! Eccola! Mamma!-
Una porta che si spalanca, passi decisi, il rumore di uno schiaffo.
______________

AD 1112 - Kemper

Notte, musica e rumor di voci. Luci sparute illuminano le vie di una città avvolta tra due fiumi come nere spire di un serpente, una città che è poco più di un villaggio in realtà, giovane, ancora tanto giovane da perdere le sue origini nella leggenda. C’è ancora chi parla del re Gradholn, della città maledetta e di come per redimersi abbia lui stesso fondato Kemper.
C’è movimento stanotte per le vie. È una notte di festa. Ci sono uomini e donne in giro per le strade, ci sono avventori alla locanda della piazza. Ed è da lì che vengono le voci. Risate, canti, danze in un caleidoscopio di profumi e colori che spezza la triste monotonia delle giornate d’inverno.

-E muoviti stupida!- uno schiaffo piove sul volto di una ragazzina già barcollante sotto il peso di un barilotto troppo pesante per la sua età. Puzza di sidro e di chissà cos’altro, ha i capelli sporchi e stopposi, il viso sporco e scavato, è magra da far paura. Un mucchietto di ossa e stracci. Sono solo un ricordo lontano ora i vestiti morbidi e caldi, il camino, il pagliericcio caldo e l’abbraccio di una matrigna che è stata come una madre. Amata come una madre. Resta solo il portamento dignitoso e l'aria distaccata di chi aveva tanto. E adesso non ha più nulla. Ora c’è solo la voce tonante di una donna alta e corpulenta dalle guance arrossate dal troppo bere, col grembiule sporco e l’alito cattivo. – se non ti dai da fare non ti darò da mangiare… e ricordati, sono l’unica che ha avuto il coraggio di prenderti con se. Dovresti ringraziarmi! Fila via!- occhi gonfi di lacrime, una macchia sanguinolenta sul labbro inferiore spezzato. E uno sguardo fiero annegato tra lacrime trattenute, adombrato dalla chiazza rossa lasciata dallo schiaffo che impietosa si allarga sul viso. E un sorriso strafottente. Quello che dice mi spezzerò prima di piegarmi. Tiene la botte stretta al petto barcollando sulle gambe, ma senza staccare gli occhi dal viso della donna. E la donna la osserva, il viso contratto dalla rabbia prima di assestare un manrovescio alla bambina. – MUOVITI STUPIDA! SEI DIVENTATA ANCHE SORDA ADESSO?-
Barcolla, ma non cede la ragazzina. Non abbassa il capo il capo, continua a fissare la donna corpulenta con quel ghigno sul volto. Un attimo di silenzio. Uno schiaffo piove sull’unica guancia sana, tanto forte da costringere la ragazza a voltare la testa, a barcollare di nuovo. Una macchia sanguinolenta si spande sul labbro inferiore, cola sul mento. La testa resta girata, non guarda più la donna, ora. Trattiene le lacrime, singhiozzi soffocati si perdono nella musica, tra le risate della gente che non si cura di questa scena, anzi. V’è chi osserva divertito. La testa ancora bassa, il barilotto stretto al petto, la ragazzina si avvia verso un tavolo mentre succhia il labbro rotto per evitare che coli altro sangue. Passa silenziosa tra le grida di festa, tra le risate, la musica e le danze. Passa inosservata, come un’ombra fino al tavolo dove appoggia la botticella. Senza guardare gli avventori. Puzza di sidro e di sudore, la gente la evita, la folla si apre quasi al suo passaggio, osservandola sdegnata come si osserva un condannato incamminarsi al patibolo. Una spinta arriva dietro di lei, la presenza opprimente di un corpo umano, vicino, tanto da poterne sentire il calore, troppo vicino anche se spinto dalla calca della locanda. Una mano grande, callosa, la mano di un uomo le si posa sulla spalla, una voce maschile, gracchiante, strascicata, la voce di un ubriaco.
-bene, bene, bene… ma cosa abbiamo qui! La nostra piccola figlia degli spiriti…- un sussulto, gli occhi si sbarrano ma restano fissi a terra mentre la mano dell’uomo dalla spalla scende fino al petto, mentre con l’altra mano l’uomo le accarezzerà prima i capelli per scendere lungo la schiena – e così sei ancora viva eh? Figlia del demonio… sei stata tu la causa della morte di Gilles e di sua moglie… tu! Maledetta!- parole sibilate colme dell’odio che l’ebbrezza dell’alcool risveglia anche nel più pio degli uomini. sussulta, tenta di divincolarsi ma l’uomo con la mano libera la cinge, la stringe a se – sei sempre stata un flagello, un demonio incarnato… ed è ora che qualcuno ti faccia pagare i crimini che hai commesso-.
Le mani si liberano del peso del barile. Un tonfo, il barilotto che cade per terra, si frantuma contro le assi del pavimento, il sidro scorre come sangue da una ferita aperta. E musica. Danze, canti. L’euforia della festa non si ferma per questo.
-lasciami!las..- uno schiaffo, di nuovo. E un pugno nello stomaco. Una fitta di dolore, per un attimo il mondo sparisce... poi il respiro si fa difficile, una mano preme sulla bocca, sul naso. Qualcuno la trascina fuori, fuori dalla locanda, e nessuno sembra accorgersi di cosa sta accadendo. Ma accade. Davanti a tutti, sotto gli occhi di una comunità intera riunita in una locanda. Ma troppo assorta dalla festa per sentire le grida della bambina, soffocate dalla mano che l’uomo le preme sul viso, soffocate dalla musica, dai cori, dai canti e dai balli.
Un uomo ubriaco di sidro e odio trascina nella notte una bambina inerme, abbandonata, che strascica i piedi come corpo morto, ormai troppo sfinita per difendersi. –puttana… sei solo una schifosa puttana… pagherai per quello che hai fatto a mio fratello… per come hai rovinato la mia famiglia! Puttana! Ti dovevamo uccidere quando era tempo ti dovevamo lasciare sotto il cadavere di tua madre a marcire! Sii maledetta in eterno, Dahut, figlia delle tempeste!- una spinta, perde l’equilibrio. L’ultima cosa che vedrà stanotte sarà il cielo, prima di finire sdraiata per terra, sulla terra fredda e umida. Un ombra le si staglia davanti, -no…zio… perdonami...- -NON CHIAMARMI ZIO!- un pugno, dritto in faccia. il suono delle ossa che si rompe. E l’oblio.

Passi strascicati, malfermi. Albeggia. Nessuno per la strada, lì dove arranca una bambina tutti son persi a smaltire l’euforia di una notte di festa. Si stringe le braccia al petto per cercare di tenere insieme quei pochi brandelli di vestiti che le restano addosso, invano. Le gambe spiccano nude sotto i brandelli della gonna, macchiate di sangue, piene di lividi e graffi. Le spalle sono nude, rabbrividiscono al freddo, al vento sussulta una pelle candida, assurda tela macchiata di lividi, sporca di sangue e terra. Ha un occhio gonfio e viola, le labbra tumefatte, lividi ed escoriazioni su tutto il corpo. Sangue si è rappreso sulla faccia sporca. Si trascina fino alla locanda, lo sguardo vuoto, assente. Non ha più lacrime.
La porta della locanda le sta davanti. Sospira. Vi si appoggia, la spinge. La luce dell’alba entra ad illuminare la locanda e la donna corpulenta che al centro della sala sistema le sedie attorno ad un tavolo malmesso. Si volta verso la ragazzina. Odio, rabbia, paura in quello sguardo, gli occhi colmi di orrore.
-dove diavolo sei stata tutta la notte, schifosa creatura?-
-perdonatemi signora…-
-non ti basta il pane che ti offro e la carità che ti ho fatto finora? Guarda come ti sei conciata! Così non mi sei certo più d’aiuto- sogghigna la donna corpulenta, odio, odio profondo trasuda dai suoi occhi mentre si avvicina a quella che è poco più di una bambina, la sovrasta in tutto il suo essere.
-sparisci dalla mia vista… non voglio più vederti. E che sia maledetto il giorno in cui sei giunta in questo posto-
La locanda è un disastro. Assi di legno ammassate in un angolo, resti di tavoli ora spaccati. Segni evidenti di una colluttazione, macchie scure qua e là… come di sangue.
-signora… vi prego…-
-ti ho detto vattene-
-signora…- cade in ginocchio, le mani che cercano disperatamente di afferrare i piedi della corpulenta figura, il capo striscia per terra, in cerca di quei piedi da baciare, come un cane. Si un cane. E come un cane riceve un calcio in faccia. Tanto forte da farla rovinare fuori dalla locanda, riversa sulle spalle, ansimante. Brandelli della veste rivelano il seno nudo ostentato sotto il sole del mattino. Tenta di risollevarsi di rialzarsi in piedi… sperando di non trovare la porta della locanda già chiusa.
- pochi giorni dopo -
Il sole sta per tramontare. Una figura arranca per il bosco, si appoggia ad un bastone. Scalza, i piedi ormai una maciullata massa sanguinolenta. Si stringe le braccia al petto cercando di trattenere i brandelli della veste. Arranca… il respiro un rantolo, i crampi della fame mordono lo stomaco. E il dolore al ventre, che non ha sanguinato questa luna. Lei sa, sa cosa la attende, sa che non è sola, adesso.
Il sentiero si fa sempre più scuro. La vista si appanna… il respiro affannoso, un rantolare fioco. Una figura poco distante compare alle sue spalle. Un abito bianco, pulito e caldo. Porta qualcosa di voluminoso sulle spalle. la osserva… le si avvicina.
Ne sentirà solo i passi, alle spalle. e una voce maschile che la chiama. Non si volta. Non si ferma. Anzi, accelera il passo per quanto possa. Tra le lacrime, scossa dai sussulti non riuscirà a sfuggire alla presa della braccia dell’uomo. Priva ormai della forza di divincolarsi, di reagire. Solo un respiro. E poi, le tenebre.
__________________

AD 1116 – Mont saint Michel

Un ragazzo siede sulle rocce dell’isolotto, osserva con occhi assorti la marea che sale al calar della sera. È giovane, molto giovane per indossare già l’abito dei monaci, non ha negli occhi il silenzio dei monaci benedettini, non la loro calma ma il fuoco e la passione di una gioventù troppo presto incatenata alla cieca fede. Il bel viso è teso, la pelle ambrata, i capelli neri così come gli occhi. Alle sue spalle dalla chiesa di Notre-Dame-Sous-Terre si leva un coro di voci maschili, un coro armonioso e allo stesso tempo tetro che echeggia da una strana costruzione appollaiata sulle rocce, abbracciata dal mare della sera. Si volta verso la foresta di Scissy, la foresta sacra dei sacerdoti dell’antico culto, la foresta che cresce rigogliosa attorno all’isola che è divenuta dei monaci del nuovo culto. Qualcosa si affaccia dalla foresta, scuote i rami del sottobosco, qualcuno si affaccia dal folto del bosco. Un balzo, il monaco scende dalla roccia e corre deciso vero la foresta davanti a lui percorrendo l’ultimo istmo di sabbia ancora risparmiato dalla marea crescente. Là ad attenderlo una giovane donna sorridente, il viso scurito dal sole, i capelli neri e gli occhi di chi ha visto e vissuto già troppo nel fiore degli anni. “MArie! Ma cosa ci fai qui? Sei impazzita?” e Dahut emerge solo un po’ dalla foresta si avvicina al monaco, gi fa cenno di avvicinarsi e di nuovo si nasconde nel folto del bosco. Il monaco la segue, scompare trai cespugli in cerca della giovane donna. È cresciuta Dahut, ora ha il volto di una donna già, il corpo di una donna e gli occhi troppo tristi per la sua giovane età. Tiene un tomo stretto al petto “te lo volevo restituire… l’ho già letto. Quando me ne porterai un altro?” il monaco allunga le mani per raccogliere in fretta il tomo che la ragazza gli porge “Marie… non posso lo sai. È troppo rischioso. E poi sei una donna, non dovresti…” Una mano della ragazza sulle labbra del monaco, “e un monaco del tuo ordine non dovrebbe amare altri che il suo dio” gli prende le mani, lo attira verso di se, sorridendo “vieni Martin… prima che cali il sole..” sorride il ragazzo, si lascia trascinare “presto… Non devono vederci!”. Un bacio, un altro ancora.

Il suono delle campane, la marea presto seppellirà anche l’ultimo lembo di spiaggia alle soglie della foresta il monaco osserva la ragazza negli occhi “devo andare Marie… e tu non devi più tornare” ,“io ti amo Martin”. Silenzio. “non posso…io appartengo a dio” “allora… perché? Perché vieni da me ogni giorno. Forse tu non vuoi appartenere a dio” un sorriso malizioso, le mani strette a quelle del monaco “non bestemmiare Marie. Non ci vedremo mai più… non posso lo sai”le mani del monaco si liberano dalla stretta. Non la guarda più ormai. “aspetto un figlio Martin”. Silenzio. Il ragazzo scuote la testa, gli occhi gonfi di lacrime “questa è la punizione per i miei peccati…” le mani della giovane donna afferrano quelle del monaco, le stringono, ma lui non la guarda. “tu non hai peccato Martin! È forse peccato l’amore? Questo insegna il tuo dio? Non sei qui per tuo volere! Non è questo che mi hai detto?” il monaco si divincola, sfugge alla presa, le mani della ragazza tentano di afferrare le spalle del monaco mentre lui abbassa lo sguardo, incapace di sostenere gli occhi azzurri dell’amata. “fuggiamo insieme Martin! Fuggiamo dove non ci potranno mai trovare…”. Con uno scatto dettato più dall’ira che dalla ragione il monaco afferra la ragazza per le spalle, una spinta violenta, la giovane cade a terra. Passi di corsa, un monaco fugge verso il suo tempio, attraversa la spiaggia in lacrime, sul volto il terrore, quasi alle sue spalle il mare si stesse richiudendo per inghiottirlo.

-quella notte-

Una ragazza piange sola al limitare della foresta, avvolta dalle ombre che presto oscureranno la terra. Sussulti violenti scuotono le fragili membra ancora non del tutto adulte. Piange per la vita che porta in grembo, quella che non conoscerà mai suo padre. Piange al rintocco funereo delle campane che annunciano l’arrivo della morte. Piange per quel padre mai padre fuggito tra le onde, per la perdita del suo amato, per quel padre mai padre fuggito, senza mai voltarsi indietro, che non rivedrà più, fuggito con l’ombra della morte negli occhi. Troppo il disonore, troppo il terrore de peccato. Si toglierà la vita presto, si è tolto la vita. E le campane sembrano voler cantare la triste melodia di un giovane morto per il disonore o il terrore di aver vissuto in quello che chiamano “peccato”. Di aver tradito il suo dio in nome dell’amore.
In ginocchio, lascia cadere le lacrime sulla terra Dahut. Graffia il terreno sussurrando maledizioni irripetibili all’uomo che fugge, al dio che ha rapito il suo amore. Al dio che ha fatto si che l’unico uomo che abbia mai amato si sia tolto la vita per il disonore di averla amata.

-alcuni mesi dopo-

Il fuoco di un accampamento crepita seppellito nella foresta di Scissy, nascosto agli occhi e alle menti, ultimo baluardo rimasto di un culto che in Bretagna è destinato a scomparire. Poche capanne ben nascoste ospitano i discendenti degli ultimi sacerdoti dell’antico culto di Bretagna.
È notte fonda, tutti i sacerdoti sono a riposo, eccetto di due figure.
Un uomo siede davanti ad una ragazza. Sono soli stanotte attorno al fuoco. Due scodelle di una zuppa maleodorante ammuffiscono accanto alle fiamme mentre l’uomo tiene la ragazza stretta al petto, le accarezza i capelli dolcemente, le sussurra all’ orecchio:
-andrà tutto bene Marie. Crescerà qui, con noi. Non aver paura-
La ragazza finora accoccolata contro il petto dell’uomo si stacca di scatto divincolandosi alla sua presa
-cosa vorresti fare Norig? Tenere il mo bambino… qui?- ha il viso stravolto, gli occhi arrossati dalle lacrime.
Il druido annuisce – si piccola mia. Andrà tutto bene-
Una spinta e la ragazza si alza in piedi di scatto, trema di rabbia quel giovane corpo, tremano le labbra, gli occhi sbarrati
-tu… viscido animale schifoso… farai come con mia figlia! Mi hai portato via mia figlia! E adesso vuoi portarmi via anche questo bambino! Non te lo darò mai!-
Il sacerdote si alza di scatto, afferra la ragazzina per i polsi, tenta di abbracciarla ancora, il sorriso triste di un padre gli illumina il volto ormai vecchio.
-Marie calmati! Ti avevo avvertito. Quando ti ho trovato eri gravida, ti ho curato, nutrito ma ti avevo avvertito, la sorte della tua creatura era segnata. Se fosse stata una bambina non sarebbe rimasta con noi. Non possiamo farla crescere qui… non possiamo tenere donne qui -
- e allora perché ci sono io?-
Silenzio. Il druido lascia i polsi della ragazza. Abbassa lo sguardo.
- Perché… perché tu sei speciale-
- Cosa ho di speciale io? COSA? Forse perché volete partorisca i vostri figli, i tuoi figli da istruire a questa vostra relig…
- Perché sei mia figlia Marie!-
Il druido abbassa la testa, lascia i polsi della ragazzina che ora trema.
- mio padre è morto – i pugni chiusi, non una lacrima. La voce è salda.
- non era tuo padre lo sai. Tutti lo sapevano… perdonami Marie. Amavo tua madre. Ma i nostri dei hanno voluto la sua ragione. Era folle figlia mia. Non poteva fare niente… non ho salvato lei, lascia che salvi te…-
Poi solo il pianto dirotto di un uomo. Solo un uomo. Lo osserva impassibile quella ragazza cresciuta troppo in fretta. Cresciuta nell’amore, coltivata nell’odio. Non ha più lacrime ormai la bambina che non è più bambina, troppo giovane per essere già madre di una figlia nata nella disperazione e poi perduta. E presto di nuovo madre, ma di un figlio nato nell’amore. Il sacerdote crolla in ginocchio davanti alla figlia impassibile, scosso dai tremiti e dalle lacrime per troppo tempo nascoste. Lei avanza verso quell’uomo fragile, scosso osservando con disprezzo quel vecchio che le ha rubato una figlia, che le ha rubato una madre e ora vuole di nuovo la sua creatura. Il viso freddo. Negli occhi, la luce gelida della follia.
- mio padre è morto. E ora dimmi dove avete portato mia figlia perché intendo andare a riprendermela-

Ad 1120 - Inishmore

Il tempo è come la pioggia. Graffia e scuote, lava e cancella, seppellisce le ferite, annega i ricordi dolorosi e ogni tristezza. O almeno, così ci piace pensare. Sono passati anni ormai dal tempo in cui quella che era solo una bambina vestita di stracci giunse sulle sponde della verde Eriu. Clandestina imbarcata in una nave, sola.
Derubata dell’ultimo figlio nato nella foresta di Scissy. Un maschio, un nuovo sacerdote per un culto ormai antico, rapito nella foresta. Ora è sola Dahut. Minacciata, bandita per sempre dalla Bretagna.
Ora siede in silenzio sotto una tettoia in una fattoria poco fuori Dublino. Lo sguardo perso sull’infinito cielo d’Irlanda, ricorda…

Una notte di tempesta, il dolore lancinante. Il figlio che sta per venire alla luce. Le urla, il dolore, il calore e il fetore di una capanna nella foresta. Solo uomini a veder nascere l’unico suo figlio maschio. Rapito. Nascosto dietro un cappuccio agli occhi della madre. Il ricordo di qualcosa di amaro e acido versato tra le labbra esangui, della vista che si appanna… e poi il dondolio delle onde al risveglio. Non ricorda il viso della sa creatura senza nome, nemmeno questo l’è stato concesso. Ricorda solo il dolore e la minaccia di un giovane sacerdote prima di essere abbandonata sulle coste della verde Eriu.
Non tornare. Sei maledetta. Hai offeso gli Dei, hai offeso i suoi devoti. Tuo padre non ti proteggerà più. Se ti rivedrò, ti ucciderò.
E poi parole, altre parole. E una sorta di strano rituale che lascia segni sulla pelle, strane cicatrici sulle braccia, sul petto.
E qui, la memoria si ferma… si chiudono le porte della mente. L’ultima difesa. Perché la mente ci impedisce di ricordare quello che riteniamo troppo crudele per noi? Inutile cercarla nel cielo infinito dell’isola di smeraldo… perché non è tra quelle immense nubi la risposta. Il motivo per cui ora una giovane donna è stata bandita dalle sue terre e vive lontano. Con un nuovo nome. Come una contadina. Figlia adottiva di una famiglia che non ha esitato ad accoglierla, senza chiederle mai nulla. E senza mai rivelarle niente…
Dal cielo gli occhi scendono sul gregge di pecore che rientra nel tramonto, sull’uomo che si fa chiamare padre che le accompagna. Gente semplice, caritatevole, pia. Gente che sorride, che regala, che ignora. Perché a loro va bene così. Non sanno leggere. Non sanno scrivere. Sanno solo pregare. Non importa quale dio, basta pregare e sapere che a tutti i loro problemi, ci penserà lui. sanno solo pregare. E pagare i tributi a chi glieli chiede. Senza un motivo. Li osserva schifata da mesi ormai, le figlia di nessuno. La madre di nessuno. Ma a loro non importa, continuano a sorridere e a trattare quella sconosciuta come una loro figlia taciturna e schiva, la chiamano Cailin, semplicemente Cailin.

Una sera, il fuoco di un camino in una povera casupola, quella in cui vive da anni. Una donna, vecchia, ormai, con le mani rugose e gli occhi illuminati dalla luce delle persone pie, sagge, rassegnate ormai ad ogni cosa in nome di un dio assente, di sacerdoti di molti e molti culti, che altro non son che avidi dittatori in cerca di potere.
Siedono accanto, l’arcolaio gira. Tessono in silenzio. Poi la voce dell’anziana
“Cailin …sono passati anni ormai da quando arrivasti qui… è tempo che tu sappia”
Silenzio, continua a filare Dhaut. Ascolta con espressione distratta le parole della povera vecchia, senza compassione, senza tenerezza sul volto. Solo un volto impassibile che cela i suoi veri sentimenti. Ribrezzo, odio, sdegno, orrore che a volte come un lampo appare sul viso ancora giovane e bello della ragazza che viene da lontano.
“so tutto di te bambina. So perché sei qui. E so… so che cosa ti è stato fatto. Tuo figlio sta bene, mi dispiace che tu non l’abbia potuto mai vedere. Ma sappi che tuo padre è una persona molto buona e molto giusta. Se sei ancora viva lo devi a lui. Se tuo figlio è vivo lo devi a lui. Ci guida in segreto da anni e anni… lui ti ha protetto bambina, ti ha affidato a noi perché potessimo proteggerti da tutti quelli che vogliono farti del male.”
Ancora silenzio. Solo il suono dell’arcolaio.
“bambina… so che non mi crederai. So che per te è solo dolore… ma credimi, è stato meglio così. Meglio non aver visto quel figlio che non spettava a te crescere e quella figlia che … che non doveva nascere. Meglio. Tu sei destinata ad una vita diversa, credimi… mi credi?”
Lacrime. Lacrime che solcano il viso della ragazza che tesse.
“ti credo”
E un abbraccio, forte, per la vecchia sincero. Per Dhaut no.
__________________

Ad 1121 – pressi Aileach, nord del’Irlanda

Il viaggio è stato duro, ma n’è valsa la pena. L’inverno qui non è come in Francia. Il freddo entra nelle ossa e sembra non volerne uscire nemmeno con l’arrivo della primavera. Piove, piove ogni giorno. Una pioggia fredda e crudele che ora sferza il viso seminascosto dal cappuccio del mantello di lana della giovane Dhaut. A fatica tra la pioggia si itnravede la meta. Il tempio è vicino.
Due figure avanzano lungo il sentiero. La vecchia sorride serena e compiaciuta col suo solito volto colmo della pace delle persone semplici, povere di intelletto quanto di carattere. Accanto a lei, la giovane Dahut avvolta nel mantello di lana osserva il tempio ormai prossimo.
Una donna ad accoglierle. Indossa le vesti delle sacerdotesse del culto antico, le braccia distese lungo i fianchi, lo sguardo severo di chi è abituato più a impartire ordini che a riceverne.
- ben arrivate, vi attendevamo con ansia-
la vecchia s’inchina alla sacerdotessa, impacciata, la imita la giovane donna.
- vi ringrazio sacerdotessa… questa è la ragazza di cui vi avevo parlato, la figlia del saggio Norig –
la sacerdotessa osserva con occhi freddi Dhaut, la fissa, quasi potesse con uno sguardo solo leggere il suo passato. Annisce.
- entra. Solo tu. Voi signora potete andare. Oltre questa soglia non vi è concesso-
e cosa potrebbe mai fare una persona pia e devota davanti ad un simile invito? China la testa e per quanto le membra siano stanche del viaggio, riparte. Sola sotto la pioggia. Non un saluto, non un addio. La osserva per l’ultima volta Dhaut. Non si volge indietro una sola volta.
- andiamo Cailin, non abbiamo tutto il giorno –
-dove mi porti?-
- sei stata scelta, incontrerai la grande sacerdotessa, ti dirà tutto lei-
Passi sotto la pioggia, guarda a terra Dhaut, inspira profondamente per reprimere quella rabbia che le cresce dentro, sempre di più. Ad ogni passo.
Poi una prota che si apre, il terreno asciutto di una capanna che profuma di fiori.
E la voce di una donna
- vieni avanti Cailin… sai chi sono? –
Solleva piano il volto Dhaut. Davanti a lei una donna dalle vesti ricche, la pelle pulita e profumata, dalle belle mani e dal viso austero.
- no signora –
- sono tua zia. Tua madre era mia sorella. E tuo padre ti ha mandato da me perché potessi crescerti. Non è ancora troppo tardi per apprendere. È il tuo destino, per questo sei nata. E sono lieta che tu abbia accettato alla fine il destino che gli antichi dei hanno in serbo per te.-
le si avvicina, con una mano le accarezza il capo, i capelli fradici. La guarda negli occhi, Cailin ricambia impassibile. La sacerdotessa sorride, ma non di dolcezza. È il sorriso di chi è abituato solo a comandare, a dare ordini.
- imparerai presto e presto sarai una di noi. Questo hanno scritto gli dei di te-
- cosa hanno scritto di me? –
- sei nata per volere degli dei antichi dall’unione più sacra. Tua madre era mia sorella come tuo padre è mio fratello. Sei la predestinata che farà risorgere il nostro antico culto. Il tuo sangue è sacro come tutto il tuo essere –
Silenzio, Cailin osserva sconvolta la sacerdotessa che le sorride. Ma non di dolcezza, è il sorriso di chi sa di avere il potere, di essere il potere. E di chi è pronto a far di tutto pur di conservarlo, il potere.
- il mio sangue è stato versato molte volte. E ho avuto due figli. Cosa n’è stato della mia bambina?-
- è divenuta una sacerdotessa Cailin -
- e dov’è adesso?-
- quando sarà tempo, saprai -
e un sorriso, quello di chi ha dato l’ordine, ora non si discute più.

-un mese dopo –

la stanza della grande sacerdotessa è assai diversa da quella delle altre donne. Perché qui sono tutte donne, ma non sono tutte uguali. Ci sono le sacerdotesse elette, le novizie e poi… Cailin. Dhaut. La serva. La serpe in seno. Quella che ora osserva il corpo esanime ai suoi piedi con un sorriso compiaciuto sul volto. Il sangue sgorga copioso dalla bocca della gran sacerdotessa moribonda.
Si china accanto a lei la donna maledetta, sorridente la osserva morire.
- dove sono i tuoi dei ora? –
la sacerdotessa sussulta, cerca di risollevarsi, di strisciare fuori dalla sua capanna. Ma Dhaut le si para davanti, con un calcio la ributta a terra. Un sibilo la voce carica di rabbia:
- non credi ora sia giunto il tempo donna? Dov’è mia figlia? –
- in nome di tutti gli dei… del cielo… e della terra… la mia maledi..-
un altro calcio, ancora più violento contro le coste della donna morente stesa a terra.
- posso fermare il veleno che hai in corpo, ora. Vedi? ho osservato, ho imparato bene. Dimmi dov’è mia figlia –
la donna tossisce sangue. Le mani le tremano, la vista si appanna. Solleva il viso verso Cailin, gli occhi supplicanti.
- non posso Cailin…-
- allora morirai –
- aspetta… Cailin! Aspetta… devi… trovare… avalon…-
- dov’è? –
- Cailin… presto… il veleno…-
Sorride Dhaut, di un sorriso crudele, freddo.
- non dovrebbero pensarci i tuoi dei a salvarti… zia cara?-
un rantolo, sangue dalla bocca. La vista della sacerdotessa si appanna, la mente si offusca. L’ultima cosa che udirà sarà il rumor di passi e la porta della sua capanna che si chiude.

-quella notte, lungo la strada per Dublino –

Una donna avanza solitaria nella pioggia, coperta di sangue. Sangue trai capelli, sangue sulle braccia, sul ventre. Ferita, colpita a morte, così appare. Il sangue secco le incrosta le mani, la faccia, indossa le vesti lacere delle sacerdotesse del tempio del culto antico. Due uomini le si fanno incontro di corsa.
-presto correte! Portate dell’acqua! Signora! Signora stai bene ?-
Gli uomini afferrano la giovane donna, Dhaut dagli occhi di ghiaccio e dalle mani luride di sangue
-acqua.. .acqua… -
Beve con l’avidità di un condannato, con la sete della disperazione.
-siete una sacerdotessa signora? Come mai non siete al tempio?-
-gli… gli eretici… ci hanno attaccato. Hanno ucciso la grande sacerdotessa e dato fuoco al tempio… correte presto! Dovete… dovete aiutarle!-
-certo, vi porteremo in un luogo sicuro prima…-
-no! Dovete correre! Io andrò avanti in cerca di altro aiuto. Lasciatemi… lasciatemi delle vesti, la cappa nera che indossate o morirò di freddo! Lasciatemi solo quella e io andrò avanti a chiedere altro aiuto. Voi correte al tempio! –
Pochi attimi dopo gli uomini corrono verso il tempio.
Dhaut è sola ora. Con una cappa di lana nera e una borraccia. E le mani sporche di sangue, ma non del suo. Sorride, un sorriso folle, lucido, crudele. Sorride al ricordo delle urla e del dolore di quelle donne che tanto odiava, della sua piccola vendetta contro gli dei tutti.
Quel tempio non c’è più ora. Sono tutte morte. Per mano sua. E non trema Dhaut, sorride, tronfia e soddisfatta, gongolante nell’odio che è la sua linfa. Sarà la pioggia a lavar via questo sangue. Ora non trema più l’assassina, Dhaut l’eretica. La traditrice. Fugge verso il bosco, lontana dai sentieri. Che si perdano presto le sue tracce. Che si dimentichi il suo nome. Ora sa dove andare. Dove andare a cercare ancora vendetta.

Ad 1129 – una notte qualsiasi -

Una figura avanza lungo un sentiero, assieme ad una variopinta carovana di mercanti, musici, giocolieri e chi più ne ha… e ci sono pellegrini di ogni specie, cacciatori di ventura, mercenari o solo folli in cerca di avventure. E lei, Dhaut dagli occhi di ghiaccio. Non sorride mai. Porta pochi bagagli con se, chi ha viaggiato con lei mormora che si guadagni il pane come meretrice. Dicono che sappia leggere e scrivere e far di conto.
Di lei, sanno solo che si chiama Etain.
Chi è stato con lei parla di strane cicatrici sul suo corpo.
Non ride mai, non parla quasi con nessuno. Pochi sanno da dove arrivi e di questi, tutti sanno qualcosa di diverso. Chi crede venga dal nord, chi dal sud. Chi dice sia la figlia di un nobile, chi la progenie bastarda di un ricco signore. Chi dice sia la figlia di una sguattera fuggita. Chi la teme, chi la ama.
Pochi parlano con lei. Lei parla con pochi.
Ma oggi, la meta è vicina una città è alle porte.
E sarà Dhaut la prima a rivolger parola a qualcuno stanotte.
- buonuomo… ditemi, dove siamo? Che città è questa? –
- Barringhton mia bella signora-
- la città sulle sponde del lago vero? E… ditemi… buonuomo…- civettuola, falsamente ingenua e frivola la parola di Dhaut. La donna dai molti nomi, dalle molte maschere – v’è un’isola al centro di quel lago vero? Ricordate come si chiama? Ora non lo rammento…-
-ma certo mia bella signora. È avalon! –

OFFLINE
Post: 510
Sesso: Maschile
13/04/2016 16:46


Etain
Descrizione Fisica: Presente
Allineamento: Legale Malvagio
Terra di provenienza: [CENSIRSI NEL CLAN NORDICO]
Lingue conosciute: Francese, Inglese, Gaelico

Skill: Sotterfugio I


Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 09:34. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com