È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

AKERSIM [ASSENTE]

Ultimo Aggiornamento: 29/03/2016 08:53
20/08/2011 14:35

Novizio
Akersim Ibn Azim

Sangue: Novizio

Doni del sangue predominanti: Fisici.

Morto l'8 di Coll.

Rinato la stessa notte come Vipera del Deserto, Nero Requiem dei Moth.

Figlio Di Ilsyr,Vedova nera dei Moth.

Skill Comuni: Diplomazia I

Skill di Razza: Dominio Liv.I,Veggenza Liv.I,Tenebra Liv.I,Vigore Liv.II,Celerità Liv.II,Instinto Liv.II.



BG UMANO:

La voce del vento

Palpito breve nella notte scura,
stormir di brezza che lenta discende,
lì fra le dune sin nell’apertura,
tra corde e stoffe delle grandi tende,
una luce tremula che ancora perdura
un gemito, un pianto che il buio offende.

Rosa del monte, dagli occhi di giada
Fremente giace tra coltri e il sudore
Dello sposo di cui amò corpo e spada
Offre ora al mondo il frutto d’amore
Terzo è figlio offerto alla Strada,
al Sole, al deserto ed al suo calore.

Il lento scivolar dell’alba l’accoglie
E l’astro riluce nell’ampia sorgente
Il giorno ascolta le ultime doglie
e ‘l possente grido della vita nascente
fatica e gioia che il vento raccoglie
e sparge la voce per tutta la gente.

Fuoco che brilla, festa che esplode
Dentro ogni tenda dell’accampamento
Voci sommesse per ogni canto di lode
Che allontanan dall’ombra ogni lamento
Danzan gli uomini per la gioia che s’ode
Danzan le donne tintinnando d’argento.

Sarà il calore a rapirli pian piano
Condurli a ritrarsi dall’astro dorato
Perché ogni atto non risulti vano
Su quel terreno sin troppo bruciato
L’ultima brezza è ormai soffio lontano
Ed il bambino dorme beato.



Voce di Madre

[Dolce è la voce di donna che sussurra avvolta dagli ampi drappi che costituiscono la tenda, non c’è altra luce che un raggio di luna, solitario, che ne avvolge la figura mostrando l’eterna immagine di una fanciulla che siede al capezzale del proprio bimbo addormentato accarezzando con mano ricamata d’hennè la folta chioma di riccioli scuri.]

Quant’è lesto il Tempo figlio mio, quanto impietosa la sua salda mano. Ti guardo ora sereno e dormiente, chiudo gli occhi e sei già lontano.
Quanto breve fu il momento e l’ebbrezza in cui ti stringevi al mio seno con tenerezza cercando rifugio tra le mie braccia sole.
Effimero sei quanto un sogno, nei tuoi begli occhi, ma all’improvviso non c’è per te più alcun bisogno se non di comprender il mondo a me inviso.
La luna ti culla, ti accoglie fedele prima che il ti strappi al riposo e il giorno ti riporti al dovere che per te così giovane è tanto oneroso.
Questo comporta il nascere donna, accoglier nel grembo chi poi andrà via, non poter sostener nelle prove chi sogna e al sicuro vorrebbe che sia.
Ma in te c’è la forza o mio diletto, tu che nascesti sotto la luna piena e di tuo padre già guadagnasti il rispetto con la tempra il coraggio e la lena.
Vegliare per te in questa notte serena, ascoltare e pregare perché ogni tempesta che lontano conduce su di te passi debole e lesta senza quei danni che usualmente produce.

Dormi figlio del deserto
Dorme il sole dorme la luna
Dorme lontano il mare aperto
Dorme la volpe là sulla duna

Fin troppo svelto verrà il mattino
Togliendo il riposo dal tuo bel viso
Ti desterai mio amato bambino
E affronterai il giorno con il sorriso



Voce di Padre

[Presso il fuoco da campo riservato agli uomini il capoclan, la barba nera striata di bianco li occhi infossati tra le rughe più fonde parla con tono deciso agli anziani della tribù, compagni, consiglieri, amici nelle battaglie e nelle gioie che la vita ha portato su di loro nel corso degli anni]

- Tre figli. Allah mi ha donato la gioia di tre figli maschi. Tre figli maschi che hanno tutti superato l’età critica dell’infanzia.
- Sia lode ad Allah misericordioso
- Sì, e tuttavia ora che l’età avanza
- E si prospetta il momento della successione
- E’ così… e la primogenitura già sancisce chi dovrebbe… ma non corrisponde, sventuratamente, alla mia volontà.
- Comprendo
- Anche io
- Sì, in effetti Mustafà è un inetto, poco adatto a condurre la tribù, sembra amare più i cammelli che la sua gente

[Uno scoppio di risa ma Azim, il capotribù, non ride, il suo sguardo è cupo, fisso sulle fiamme]

- Dunque vorresti saltare la linea di sangue
- E’ così…
- Ma Alì ha già scelto la sua strada, e come secondogenito essa è onorevole, tantopiù che ben poco sarebbe in tal modo sottomesso alle angherie del fratello.
- Non è a lui che pensavo infatti
- Akersim?! Ma ha solo dodici anni!
- Lo so bene, ma se dovesse succedermi egli avrebbe certo bisogno d’essere stato già in parte istruito nell’arte del combattimento oltre che della politica.
- E’ sveglio ed intelligente ma poco portato per la lotta.
- Questo non ha importanza Kerlam, lo sappiamo tutti
- Sappiamo tutti la legge qual è
- Un terzo figlio non può essere re.
- Il suo temperamento comunque è troppo energico, temo che si aprirebbe rapidamente una faida se lo lasciassimo raggiungere qui la maturità
- Intendi allontanarlo dalla tribù?
- Se la legge non si può cambiare allora i suoi servigi saranno migliori lontani da qui

[la discussione si protrae ancora per diverse ore, fino a che le braci non languono di un cupo colore rosso e gli uomini lasciano che l’ultima spirale di fumo si levi da esse prima di allontanarsi ognuno verso la propria tenda. Il mattino dopo al sorgere del sole Azim s’accosta a suo figlio]

- Akersim
- Sì padre
- E’ stato deciso che tu parta
- Partire? Per dove?
- Andrai a Fez, voglio che studi
- Studiare padre?
- Sì, imparerai a leggere e a scrivere, a contare e a parlare con gli uomini, tu diverrai la Voce della tribù. Così ho deciso.
- Come comandate, sarete orgoglioso di me, padre
- Ne sono certo



La voce del Tempo

[Una piccola stanza in una casa di pietra chiara, una candela, l’odore di cera e di spezie che satura l’aria ferma della notte. Un adolescente dorme appoggiato al basso tavolino, un libro aperto innanzi e di fianco un quaderno, sulle pagine bianche il ricamo di una scritta in caratteri arabi, ancora piuttosto goffi]

Sono passati anni e ancora non mi sono abituato ad essere circondato dalla pietra. Mi mancano i cieli incontaminati del deserto, la sabbia, il muoversi liberamente. Queste stradine sono soffocanti, queste case sono soffocanti e gli uomini… quanto risulta vasta la loro complessità. L’uomo è il più crudele tra le creature di Allah, si beffa dei poveri, degli inabili, non ha rispetto per la propria stirpe, per la propria razza eppure sa fare cose meravigliose, cose che nessun’altra creatura è in grado di fare.
Scrivere e leggere è stata la cosa più facile, la carta non si oppone, lascia che tu tenti e ritenti fino a che il risultato non è perfetto. La gente non è così, qui la gente ascolta ed al primo errore la situazione può risultare compromessa irrimediabilmente. E non si tratta poi solamente della parola usata, ma anche del tono, dell’inflessione, della costruzione della frase stessa. Dolce come miele e solido come l’acciaio deve essere il discorso, inoppugnabile ed insieme elastico, malleabile come la cera calda ma infrangibile come il diamante così che l’obbiettivo venga raggiunto senza che l’altro si senta aggredito concedendo non di più di quanto si desidera ed insieme portando l’altro a desiderare di cedere proprio quanto noi si anela ad ottenere.
A quanto pare vi sono secoli di libri e uomini d’ogni parte del mediterraneo che hanno cercato di affinare l’arte di condurre gli uomini come si potrebbe fare con un branco di cammelli. Ciò tuttavia è ben più difficile.
Le punizioni sono severe, le umiliazioni brucianti, ma una Voce può pagare prezzi molto più salati se non è bene addestrata.
La mia gente è lontana, eppure è come la portassi sempre dentro di me. Le notizie sono solamente voci. Voci. Sempre voci.
La parola è tutto.

[… un’altra notte, una tenda, un’altra pagina illuminata dal chiarore lunare su quello che appare come lo stesso quaderno. La scrittura è più pulita, più precisa.]

La teoria è studio. La pratica è Arte.
Sono stato ritenuto pronto, sono tornato alla mia gente, alla mia famiglia, eppure inizio a vedere le maglie di questo intreccio di sangue slabbrarsi inevitabilmente. Molto ho perso stando distante e la volontà di tutti loro è che io torni ad essere tale. Ora comprendo perché. Mio fratello deve regnare sereno, non vogliono faide, non vogliono rischi. Io sono la Voce, ma la voce non deve avere corpo, non possiede nemmeno propriamente una sua volontà. Ha capacità sì, ed ha qualcosa da ottenere, un messaggio da portare, un ruolo importante. La Voce ha valore solamente quando è fuori, quando è in seno al corpo che l’ha generata smette di essere ciò che è, e la sua utilità scompare, ella stessa scompare. L’anello che porto al dito, il sigillo, l’onore di un simbolo avito, il simbolo di quella che è divenuta la mia stessa essenza pesa sulla mano e stringe la carne con l’imperturbabile immobilità di un privilegio e di una catena.
Non ho quindi avuto rimpianti quando a breve ho ripreso il mio viaggio. Porto i messaggi, mi curo di farli pervenire nella maniera più consona ed una volta che essi sono stati assimilati ne cerco altri, o ricevo e riporto quelli che altre Voci, altri capi, vogliono che riferisca.
Sono un nomade tra le stirpi nomadi, e questo mi appaga, anche se solamente sino ad un certo punto. C’è qualcosa che mi limita, lo sento, lo percepisco come dita sulla pelle. Non mi basta ottenere il meglio, affrontare le questioni complesse con perizia e dedizione. Odio questa mente annichilita dal mero esercizio retorico. Voglio di più.
Ogni ambasceria in qualche modo aggiunge e sottrae qualcosa al mio bagaglio, mi sento più leggero e più pesante al contempo, un cavallo insofferente alle briglie a mano a mano che s’abitua maggiormente all’aspro terreno su cui muove i propri passi.
Un nuovo vincolo inoltre si fa sentire. All’ultima visita alla tribù si parla di matrimonio. So di essere promesso ad una donna da che sono nato. E’ l’usanza. Noi siamo legati da sempre, eppure non ci siamo mai visti. Non so nemmeno di che tribù lei sia, so solamente il suo nome, rivelatomi da mia madre, in gran segreto: Aysha.



La voce della Notte

[C’è odore di inchiostro nell’aria anche se il taccuino è gettato in un angolo, un disordine che non gli appartiene e che lo fa stridere in quella stanza ora quasi vuota, dalla finestra la lama blu cupo del mare. Una sacca sul letto già pronta. Qualcosa frinisce in un angolo, un grillo ramingo forse. ]

E’ successo quello che temevo. Alla fine sono venuti da me, o per meglio dire hanno atteso che io tornassi, che tornassi da loro con il messaggio richiesto, una lettera sigillata che io avevo ovviamente rispettato. Rispetto, con quale diritto ne parlano loro, che per le tradizioni mettono in gioco senza remore la felicità dei loro figli. Li amo, eppure li ho odiati nel momento in cui la lettera è passata nelle mani di mio padre. Egli l’ha aperta, l’ha osservata e passata a colui che per tradizione gli è succeduto: mio fratello Mustafà. Poi dalle sue mani è andata a quelle dell’altro fratello, e dalle sue a quelle di mia madre persino. Una donna. Una donna che ha sorriso guardando il sigillo della mia condanna e mi ha portato la lettera, chiedendo leggessi per tutti loro.
L’ho fatto. Ho letto il proclama del padre di Aysha che richiedeva la scelta del luogo dell’incontro per le nostre nozze. Avevano già deciso la data, non dovevo che presenziare e fare quello che tutti si aspettavano, quello che avevano programmato per me. Con la risposta avrebbero dovuto essere recapitati i primi doni di fidanzamento cui sarebbero seguiti quelli di lei oltre alla cospicua dote che doveva accompagnare l’acquisizione di un’altra donna all’interno del nostro clan.
Ho riconsegnato la lettera nelle mani di mio padre, ed ho detto no. No a quel matrimonio forzato. No ad un vincolo ulteriore, un cappio messomi al collo senza nemmeno una parola, senza nessun ammonimento. No.
Ho usato l’arma che mi hanno fornito, ho mentito loro, ho convinto la mia famiglia e gli anziani che vi era ancora qualcosa di buono che potevo fare, qualcosa che nessuno aveva mai osato fino a quel momento. Un contatto con i figli del Deserto Bianco. Gli uomini venuti dal Nord, biondi e con gli occhi di cielo. I guerrieri spietati che solcano il mare sulle navi-dragone. Se fossi riuscito ad instaurare un rapporto con questi nomadi del mare i profitti per la nostra gente sarebbero stati enormi. Non restava che comprenderli e cercare di legarvi quanto basta per comprendere quale merce di scambio avrebbe potuto interessargli.
Non mi trattenni il tempo di dargli da pensare, la sera stessa ero già in marcia attraverso le dune in direzione nord verso la grande acqua, verso il porto dove si diceva una loro nave fosse giunta senza compiere i consueti saccheggi.
La mia missione. La mia fuga. La mia libertà. Il mio abbandono.



La voce del Mare

[Pagine di un candore soffuso raccolte in una copertina rivestita di soffice broccato di un blu profondo che porta però già le prime tracce di consunzione si rivelano alla luce flebile di una candela. Dal boccaporto una folata di vento salmastro le scompiglia lasciandole a rivelare parole vergate con inchiostro bruno. La lingua ha la morbida acutezza dei caratteri arabi]

Ho guardato la mia terra svanire dietro l’abbacinante riflesso del sole sulle dune. Il mare mi ha accolto con il suo blu lapislazzulo immenso, una distesa senza fine, un rotolo di seta dispiegato all’infinito dove tutto, anche l’uomo, non è che un granello di sabbia miracolosamente in bilico tra il ventre dell’Abisso e le danze aeree degli uccelli di tempesta. Ciò che era il mio passato, la mia sicurezza, svanisce all’orizzonte in un velo di bruma tremante nel calore del meriggio, come un miraggio e la mia coscienza si cristallizza in questa gemma blu, imperscrutabile e spietata.
Sono solo, solo come non sono mai stato in tutta la mia vita eppure nonostante sia circondato da uomini il vuoto mi inghiotte dischiudendo su di me le sue labbra livide e la deriva pare ormai inevitabile. Vi sono giorni, sere, notti in cui mi sorprendo ad aggrapparmi convulsamente ad una fune o al parapetto anche senza che sia il rollio di questa imbarcazioni a spingermi a farlo. Non è paura, no, è la consapevolezza dell’oblio divorante, del diluirsi lento della coscienza in questa distesa d’acqua su cui il Dragone si muove. Il Dragone, la polena, forse dorme nella sua tomba-simulacro di legno, là, alto e svettante sulla prua, forse la sua forza, il suo spirito non è che quello di questi naviganti dai capelli di luce e gli occhi di metallo ardente. Sembrano non provare emozioni, mossi solamente da qualcosa di interno o forse, dall’ordine di qualche oscuro dio annidato tra le nebbie che a mano a mano che questo viaggio prosegue si fanno sempre più fitte, insidiose, gelide come la mano della morte stessa. Il cielo sparisce dietro le nubi e quando riemerge ha una sfumatura glauca sbiadita, quasi malaticcia. Agonizzo, diviso tra l’apparenza e l’essere, il dover fare e rendere la mia azione ferma quanto le loro braccia ed il domandarmi se alla fine di questa traversata ci sarà ancora qualcosa dell’uomo che si chiama Akersim e se ci sarà se quell’uomo sarò ancora io o se egli vagherà padrone delle mie membra e del mio nome come simulacro di me plasmato dalla necessità e dalle usanze di quei figli dell’ultima Thule.
Una frase ancora mi risuona nella mente nei momenti in cui lo sconforto lascia sul palato un sapore amaro, la frase di qualcuno morto da tempo. Tutto scorre, tutto muta ed io sono dovuto giungere sino a qui per comprenderlo veramente. La luce cala ed il vento che spira da Nord e con l’attenuarsi del giorno si affievolisce anche ciò che sono stato, i giorni di risa della fanciullezza, l’ingenua impulsività di un tempo.
Questo è forse il divenire, l’essere, il potere, la potenza del sé. Comprendere ed accogliere come propria ogni nuova sfumatura come propria ed essere la mutazione stessa.

Il sole asciuga
Le tumide ali
E sul verde del ramo
Silenziosa permane
Una crisalide aperta.



La voce dell’Eterna Neve

[Il medesimo taccuino di sempre, un inchiostro più annacquato che forma qualche piccolo grumo, inevitabile, nel solidificarsi troppi in fretta sulla pagina bianca. Lo scricchiolio che la carta emette ad ogni minimo sospiro di brezza parla del gelo che la irrigidisce anche in quel luogo coperto]

Bianco. E’ davvero il bianco il signore di queste terre. Bianco delle nuvole, che rendono il cielo un basso sudario quasi impenetrabile per i pallidi e malati raggi solari che riescono a giungere in questa landa priva di calore. Bianca la nebbia, che tutto avvolge e scolora, che si leva lunga come dita di spettro giungendo dal mare e risalendo le erte scogliere e le insenature dove l’acqua si insinua scavando solchi nella roccia profondi e lisci come artigli di corvo, che inghiotte le case, gli alberi, le strade, che rende la vista impossibile, una cecità esterna che annienta l’animo e lascia a boccheggiare in quell’umidità così spessa che sembra di poterla afferrare. Bianca è la terra. Bianca. Bianca di quella cosa che chiamano neve, che viene dal cielo, che cade lenta e solida come fiocchi di lana, che sembra essere stata strappata dal tappeto di nubi sospese eppure in esse non scava buchi, non allenta le loro maglie. Figlia delle nuvole. Ogni fiocco come un pargolo che lascia il ventre materno. Ma non c’è vita in questo. Come nel deserto, la candida coltre non offre nulla, non nutre, seppellisce, brucia, annienta cancella. Nonostante muti in lacrime ogni sua stilla se la si prenda singolarmente, divenendo limpida acqua luccicante non concede nulla una volta compatta e bisogna lottare con essa per poterne strappare quanto serve alla sopravvivenza.
Così diversi da noi questi Figli del Nord, così simili li riscopro ora, nei loro bivacchi riparati, attorno ai loro fuochi. Ridono, bevono qualcosa di inebriante e dolce che dicono essere fatto con il miele, raccontano storie dei loro viaggi. Sono nomadi, a modo loro, anche se le donne vengono lasciate indietro, il loro nomadismo si muove sull’acqua. Gli uomini stanno via mesi, a volte anni per riportare in patria quanto occorre. Predoni più che colonizzatori non desiderano stanziarsi altrove, ma arricchire e rendere forte il proprio clan, come noi le nostre tribù.
Sono brutali, feroci ben più di noi in questo. Come i grandi predatori che si nascondono nella penombra azzurra e di cui prendono le pelli e divorano le carni per inghiottirne lo spirito attaccano e distruggono e provano piacere nelle lacrime e nel sangue. La loro vita è una guerra e la guerra è la loro vita. Ho avuto modo di parlare con il loro capo… a stento, la mia lingua è ben poco conosciuta, e se non vi fosse il loro interprete non potrei combinare nulla.
Dicono che le terre del sud gli interessano, che v’è poco da predare ed i fiumi sono difficili ma che quanto si trova sulla costa risveglia il loro interesse. Hanno sentito parlare delle carovane, ma non sono uomini di terra e non vi si unirebbero mai. Re Ulfgar ha dichiarato che potrebbe già inviare una nuova spedizione la prossima stagione di calma, se la guerra sarà finita. I clan si combattono spesso, molto più spesso di noi, e pare che la faida in corso non possa che essere sanata con uno spargimento di sangue. Un’ordalia. Non sono riuscito a comprendere esattamente che cosa fosse, ma immagino che vi assisterò a breve.

[…]

Il Fato segue vie imperscrutabile. Il cielo mi perdoni, non posso più parlare di Allah, ne rispetto i precetti ma ormai ho visto troppo, troppo per poter accettare semplicemente le parole degli antichi scritti. Ho visto l’orrore degli scontri, la battaglia con l’orso. Ho combattuto anche, per la vita, fissando i neri occhi della Morte che mi scrutavano impietosi dal volto di quel colossale predatore. L’ho visto da così vicino che ne ho percepito distintamente il fetore nauseabondo. Centinaia, migliaia di morti raccolti nell’alito di quella creatura aberrante, pronta a condurci tutti ad unirci a coloro che ci hanno preceduto, foriera del nefasto messaggio di ciò che ciascuno di noi diverrà, prima o poi.
Ho combattuto, ma la mia lotta non è stata d’arme. Incapace persino di sollevare una delle loro spade, ben più grandi e massicce di quelle che ho visto in mano ai nostri guerrieri, ho spiato e cercato invece di guidare il braccio armato ed impulsivo di quella masnada di combattenti. Ho suggerito, là dove potevo, dove credevo, il modo giusto per accerchiarlo. Come spingerlo, con quella tecnica del tutto estranea a loro che viene sfruttata nei momenti di difficoltà dalla mia tribù per porre sul terreno più disagevole chi ha la sventura di venir attaccato, mercanti o banditi, ha poca importanza.
Qualcosa hanno ascoltato, qualcosa non hanno forse compreso, o ben poco li interessava comprendere, ma la bestia inferocita è stata abbattuta e da quella guerra di parole ed acciaio siamo usciti con pochi feriti ed un marchio sulla mia pelle. Non sono certo che il serpente che mi adorna il braccio sia simbolo favorevole, so che la visione è incerta. Subdolo, insinuante pericoloso e velenoso. Ho udito delle storie. Ma le storie non sono la verità. Tuttavia i problemi sono ben altri. La sola ferita che stenta a rimarginare e suppura è proprio quella del re, e la sua età avanzata fa pensare che non supererà il Lungo Crepuscolo, mettendo in luce i problemi di successione tra i vari figli e pretendenti. Come tra le loro belve, l’ereditarietà non è un diritto di sangue, ma di forza.
Ogni cosa verrà rimandata e se il re non sopravvivrà dovrò lasciare questi luoghi da ramingo lasciandoli alle loro controversie per attendere che il nuovo re insediatosi e consolidato il controllo decida quale cammino politico intraprendere.



La voce del Cammino

Passo che al passo s’accoda. Una danza, una carola sulle strade della vita. Non si ferma mai, cambia, non cambia. Discesa, salita. Terra dopo terra, il sussurro del mondo lo avvolge, lo culla, lo afferra e trascina con sé. L’ombra s’allunga sulla terra battuta, sulla stagione nata e perduta. Volti che scivolano via sotto gli occhi stanchi, crampi che pervado i muscoli, vuoto che risucchia il cuore. Paura dolore e serenità ancora, perduta in un tramonto, scoperta in un’aurora.

Che cosa cerchi? Dove stai andando?

Una risposta, una sola. La domanda che segue la risposta antistante una catena che trascina l’altra, un’avanzata, una corsa eterna L’erba si piega alla brezza potente, gonfia le vesti, artiglia la pelle coglier, raccoglie e porta via, la mente la fantasia. La strada si apre, il futuro dispiega ali di cristallo su cui camminare. Lame affilate rilucenti nel sole, il poter scivolare, potersi tagliare o mantenersi per sempre in quell’equilibrio. Di piuma in piuma, di nervo in nervo. Da dove sei partito, dove ritornerai.

Ritornerai?

Credere e non credere di poter tornare, di voler tornare. La distanza è tanta, troppa, quella percorsa, quella del cuore, dell’animo libratosi troppo in alto per voler ridiscendere ancora. Libero, indipendente, indifferente. La rete s’è smagliata, il filo s’è spezzato, il vento l’ha portato via. Lontano.



[URL=http://i42.tinypic.com/29okfv5.png]KARMA ATTUALE <--- Obsoleto. vedi post sotto.
[Modificato da Nianna 29/03/2016 08:53]
OFFLINE
Post: 26
Sesso: Femminile
29/03/2016 08:52


KARMA ATTUALE 2892 (29/03/2016)

Nianna
--------------------
Amministra Discussione: | Riapri | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 09:08. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com