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IRINA

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2016 11:56
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Post: 32
Sesso: Maschile
24/01/2016 23:17

Novizio

Irina Nadine Eloise Kain


Sangue: Novizio

Doni del Sangue predominanti: Mentali

Morta la Notte dell’8 di Ruis, 1131 D.C.

Figlio del Sangue di Melisande, Sposa Assassina, Vedova Nera dei Moth

Skill Comuni:
- Volontà Liv. 1

Skill di Razza:
- Dominio (2), Veggenza (2), Tenebra (2), Vigore (1), Celerità (1), Istinto (1)

CONGREGA: Maestri dei Veleni
CARICA: Erborista
-----------------------------------
Skill di Congrega:
- Usare veleni

***

NOME COMPLETO: Nadine Irina Eloise Kain
ANNI: 21
LUOGO DI PROVENIENZA: Russia
ALTEZZA: 1.65
PESO: 45 Kg
OCCHI: Azzurri
CAPELLI: Biondo chiaro
ASPETTO: Figura esile, minuta, il crine biondo si presenta lungo quasi sino alle caviglie. Iridi zaffire, estremamente grandi ed espressivi. I tratti del viso sono delicati. Le labbra sono piacevolmente carnose. Presenta un lieve frenulo nella parte superiore centrale dell’arcata dentale.
Segni particolari: Irina ora ha un tatuaggio nell'avambraccio interno sinistro, di media grandezza. Raffigurante un teschio da cui fuoriesce un serpente.

LINGUE PARLATE: Russo e Francese
ALLINEAMENTO: Legale Malvagio

***

BACKGROUND

{ Dal diario di Alexandra }

Ricordo bene, quando in una notte d’inverno del 1114, un vagito assordante irruppe nella Torre del castello. Allora ero solo una ragazzina di 10 anni. Ma quel pianto mi fece sobbalzare il cuore. Era il pianto di chi viene alla vita. In tutta la sua maestosa cruenza. Quella notte non potevo ancora saperlo ma era venuta alla luce una splendida bambina, di nome Nadine.
Eppure quella stessa notte, una vita si affacciò al mondo e un’altra venne portata via, quella di sua madre.
Credo che sia proprio questo evento che segnò inevitabilmente tutto il percorso di quella povera bambina. Una neonata, che venne al mondo e con sé si portò il prezzo di una morte di cui non aveva colpa.
Il marito, di cui non menzionerò nemmeno il nome, perché si, per un uomo spregevole di tale portata, persino scrivere il suo nome di battesimo equivarrebbe a bestemmiare. Non mancò un solo giorno di colpevolizzare quella creatura. Come un padre, possa riversare tanta rabbia verso la propria prole è un fatto che ancora oggi, non riesco a spiegare. Eppure è quel che successe. Più Nadine cresceva, più la sua rabbia, invece che affievolirsi, sembrò proliferare a dismisura.
Certo, fino a che sua nonna Clotilde restò in vita, ella potè godere di agi e d’istruzione. Sua nonna ci teneva alle apparenze, alle buone maniera, all’eleganza che si conface ad una bambina di sangue nobile.
Fu lei stessa a preoccuparsi di insegnare alla bambina il francese fin dalla tenera età, probabilmente di questo si sarebbe occupata sua madre, se non fosse deceduta a seguito del parto. Tuttavia, nonostante Nadine fosse russa, nel sentirla parlare così fluentemente quella lingua si poteva tranquillamente incorrere in errore nel pensarla originaria della Francia. Fino all’età di 11 anni, si preoccupò lei della sua istruzione. Dopodiché venne affidata ad un precettore, egli era parimenti severo alla sua parente. A lei quell’uomo non piaceva e quel suo non piacerle non aveva nulla a che vedere con la severità con cui insegnava. {Credo che lui faccia brutti pensieri su di me.} me lo confidava in gran segreto, quando mi recavo di notte nella sua stanza per giocare. Anche se c’era una notevole differenza d’età tra di noi, amavo partecipare ai suoi giochi. Era l’unico momento in cui poteva sentirsi libera di essere una bambina. E non una bambola, strapazzata incessantemente, cercando di trasformarla in una persona che lei non aveva scelto di essere. Ma non sempre per Nadine fu facile. Più cresceva, più continuava ad assomigliare a sua madre e questo non fece che distruggere ancora di più la stabilità mentale del padre. Una mattina venne trovata in camera sua, seduta davanti alla finestra. Tutti i suoi capelli sul pavimento. Alcuni pensarono che fosse stata lei a commettere quel gesto insano ma solo perché erano troppo vigliacchi per dire ad alta voce quello che pensarono davvero. Perché era evidente, chi commise quel gesto insano. Persino Clotilde, dopo quell’evento cominciò a temere per sua nipote, allontanandola più che poteva e tenendola impegnata con le lezioni. Ma Nadine non parlò per mesi dopo quell’evento. Nessuno riuscì a tirarle fuori la verità dalla sua bocca. Nemmeno io. Le cose andarono avanti e per cinque anni, Nadine, continuò a studiare assieme al suo precettore e ad ascoltare le regole delle buone maniere impartite dalla nonna, senza battere ciglio. Il tempo passava e lei sembrava diventare sempre più distante dal suo corpo, da quella vita. Ma io la scrutavo, come osservava le persone, come il suo modo di appuntare lo sguardo mutava assieme ai suoi anni. Ero come una sorella maggiore, è vero ma sentivo che si stava allontanando in un luogo in cui non potevo raggiungerla. Si stava perdendo e io non sapevo come riportarla indietro.
Tutto mutò drasticamente alla morte di Clotilde. Quando la vita abbandonò il suo corpo, la vita di Nadine precipitò nel buio più assoluto. Non era mai stata una donna amorevole ma a modo suo, aveva fatto del suo meglio per prendersi cura di sua nipote. Fu qui che il padre, divenne assoluto protagonista della rovina di sua figlia. Quel colpo che stava aspettando da così tanto tempo. Perché si, lui temeva Clotilde e la rispettava immensamente. Ma una volta spirata anche lei, non c’era più nulla che gli impedisse di riversare su di lei, tutto l’odio covato in quegli anni. Era giunto il momento di vendicarsi.
Si, sembra assurdo. Tutto ciò che voleva era sbarazzarsene definitivamente. Averla sotto gli occhi era un tormento troppo grande.
Bisognava trovarle un marito.
Qui, risiede il vero punto cruciale. Nadine non era lieta all’idea di maritarsi. Spesso, mi confidava le sue preoccupazioni al riguardo.
Io del resto, provavo per quanto mi fosse possibile ad allietare quel malessere che le viveva dentro.
Ci furono innumerevoli pretendenti. Naturale, Nadine era bellissima. Alcuni sembravano sinceramente intenzionati a renderla felice. Ma non era certo intenzione del padre, farle avere la felicità, poiché lei stessa si era portata via la sua. La sua Charlotte non c’era più. E lei ne era la causa. Concesse la sua mano, al figlio maggiore dei Zakharov. A me non piaceva, così come non piaceva a lei. Ne eravamo entrambe terrorizzate, c’era qualcosa nel suo sguardo che metteva i brividi. Il tempo, avrebbe giustificato perché ci causò ad entrambe tali sensazioni. Ma c’era qualcosa che io non ero riuscita a capire e lei sì. Mi disse che l’aveva osservato attentamente. Che non erano solo i suoi occhi a crearle preoccupazione. Ma i suoi gesti, il modo metodico con cui il labbro destro si contraeva in un ghigno ogni volta che qualcosa lo innervosiva. {E’ come se ci fosse qualcosa di sbagliato nel suo animo. Come se si portasse un segreto orribile dietro.} Lei era una ragazza intelligente. Ma la sua vera forza, era la capacità di capire le persone. Le osservava attentamente, dai più piccoli dettagli. Dal loro modo di parlare, dal cambio di intonazione della voce quando mentivano. Riusciva a percepire quando le persone attorno a lei erano in ansia, quando qualcosa non andava. E naturalmente, quando la sua incolumità era messa in pericolo. Non era niente di straordinario, piuttosto lo chiamerei un dono. Ci sono persone che nascono più sensibili rispetto ad altri. Persone, come Nadine, che hanno un talento innato per inglobare ed incanalare le sensazioni altrui. Del resto, io stessa beneficiavo di quel dono. Con lei io mi sentivo compresa, per quanto mi sforzassi di nascondere in certi i momenti i miei pensieri, lei riusciva sempre a far venire tutto a galla. Ho sempre invidiato, quel suo talento. Ho sempre trovato molto utile, riuscire a comprendere le persone. L’empatia con il prossimo, non era mai stato il mio forte.
Nadine mi portò con sé, come sua dama di compagnia. Immagino che avermi vicino l’avrebbe fatta sentire meno sola. Ed io le ero troppo devota per non starle accanto, sapevo che avrei dovuto fare la mia parte. Fu qui che le ritornai davvero vicina. In tutti i sensi. Certo, confesso che in Nadine ci fosse qualcosa di sacro e di profano, ma credo che era proprio questo dualismo ad attirarmi così tanto. A rendermi impossibile non starle accanto. Esercitava questo fascino, senza volerlo. E allo stesso tempo, la sua costituzione faceva crescere in me l’istinto di proteggerla. Come una bambina.
La mia camera, non era troppo distante da quella di Nadine e per alcuni fatti era un bene ma per altri era una vera tortura mentale. Quando lui andava a trovarla in camera, sentivo le sue urla, il suo pianto disperato. Sentivo gli schiaffi di lui, i colpi violenti che le assestava. Udivo lei improrarlo di fermarsi a volte. E io piangevo. Oh si, l’avevo sentita venire alla luce, ignara della crudeltà del mondo, e la sentivo ora. Piangere per il dolore. E io non potevo far nulla. Mi sentivo una madre impotente. Passarono mesi, poi anni, in cui lavavo il suo corpo violato. Lenivo le ferite sulla sua pelle porcellanata. E lei mi parlava di quanto sognasse di andare via. Mi raccontava che spesso sua nonna le parlava di Avalon, ed era il ricordo dove lei si rifugiava quando aveva paura. Quando lui entrava nella stanza. {Chiudo gli occhi e penso di essere lì.. E va un po’ meglio.} Ricordo ancora quelle parole velate da amarezza. Quando rimase finalmente incinta, ne fui lieta. Anche perché nel castello, mi capitava di sentire suo marito appellarla come “cagna sterile”. Con la gravidanza, credevo che quell’inferno almeno per un po’, avrebbe avuto fine.
Ma mi sbagliavo.
Suo padre aveva consegnato sua figlia nelle mani di un mostro, sarebbe più corretto definirlo sadico. A pochi giorni dalla notizia della gravidanza, Nadine cominciò a mostrarmi le sue perplessità. Non voleva restare lì. Mi informò della sua preoccupazione e non temeva solo per la sua vita, ma per quella della sua creatura. Mi rimprovero ancora adesso, per non averla aiutata prima della disfatta. Ma la verità era che non sapevo cosa fare. Sebbene non dubitai dei suoi timori, non feci nulla se non confortarla e starle accanto. Ero solo la sua dama di compagnia. Forse anche una madre. Un’amica fidata. Ma non potevo salvarla dal suo destino.
Una sera, le stavo spazzolando i capelli, come di consueto. Finché la porta si aprì violentemente. Ci voltammo entrambe e lui era lì. Gli stessi occhi che anni prima avevano terrorizzato entrambe. Girai lo sguardo e vidi lei mettere la mano istintivamente sul grembo. Ed io di conseguenza, mi misi davanti a lei a farle da scudo. Se lei era riuscita a sopportare quell’uomo e tutte le sue torture, avrei potuto farlo anche io. Dovevo farlo. Si scaravento su di me naturalmente, mi diede uno schiaffo e caddi a terra. Non ricordo bene, quel che ricordo invece è il dolore che mi causò. Lo sentivo imprecare. Accusarla di aver fornicato con qualche servo, che quella “cosa” che portava in grembo non era sua figlio. Chiusi gli occhi. Il vuoto.

Quando mi svegliai ero di nuovo nella mia stanza. Pregavo che il mio, fosse stato un incubo. Mi precipitai da lei e con desolazione appresi che era davvero accaduto. Sul pavimento c’era il risultato di quello che era accaduto, una serva stava pulendo in silenzio, ligia al proprio dovere ma con la rabbia di chi sta pulendo per cancellare il ricordo di qualcosa di sbagliato. Lei era nel proprio letto. Non aprì bocca. Non disse una parola per giorni. Io passavo con lei ogni istante, lui del resto non si avvicinò alla stanza. Non di certo per timore di quello che aveva fatto.
I suoi occhi erano cambiati. Ora riuscivo a vederci solo il dolore e la malinconia. Ma anche qualcos’altro: l’odio. Come biasimarla?
{Il mio bambino..} la sentivo ogni tanto farneticare e mettersi la mano sul grembo. {Non c’è più.} Era stato ucciso.

Passarono giorni in cui non potevo altro che osservare quel dolore folle crescerle dentro. Ma qualcosa di ancora più violento si stava animando in lei. Ed io non ero brava come lei nel cogliere i segnali.

L’ennesima mattina, mi recai nella sua stanza per condurla a prendere un po’ d’aria. Ne aveva bisogno. L’avrei trascinata fuori con la forza se fosse stato necessario. Ma quando aprii la porta, all’interno trovai un uomo. Mi si gelò il sangue. Lei non c’era. Mi avvicinai e vidi che aveva la gola tagliata, per poco non gli vomitai sopra. Lui, quell’animale era lì. Ed era morto. Cos’era successo? Lei dov’era? Iniziai a cercarla ovunque, ed altri si unirono con me nella ricerca . Ogni stanza venne setacciata ma di lei, nemmeno l’ombra. Si scatenò il finimondo per la morte del Signore. Giungemmo fino al fiume, lo costeggiammo per un lungo tratto, finché non fu lì che vidi la sua camicia da notte, quella che aveva portato per giorni. Completamente fradicia, rimasta incastrata tra dei rami sulla sponda. Sporca di sangue.

Tutto ciò mi sembrò inverosimile. Non riuscivo a capacitarmi dell’accaduto.
Anche se mi sembrò l’unica soluzione possibile. Era la scelta più ovvia per fuggire da quell’inferno. Quando tornai in camera piansi, senza fermarmi. Quando le lacrime furono cessate, cominciai a riflettere. Non poteva essere finita così. E io non potevo restare lì un secondo di più o sarei impazzita. Aprii il mio portagioie, e trovai una spilla, e un piccolo rotolino di carta. Lo aprii e lessi il contenuto “Sai mia cara amica, sono stata una bambola per troppo tempo, ma ora basta. Quello che ho perso, quel vuoto, non riuscirà più ad essere colmato, sento di non essere più la stessa persona dopo quello che ho fatto. Qualcosa dentro di me mi aveva preparata a quello, sapevo che se non fossi stata pronta quella notte lui avrebbe ucciso me. Il mio istinto mi ha salvata. Purtroppo non sono riuscita a salvare mio figlio. Ho deciso che se il mio destino è morire, ora devo essere io a decidere come e quando. Ho permesso per troppo tempo agli altri di decidere al mio posto. Non potevo permettergli di prendersi anche il resto della mia vita. Spero capirai. Non provo rimorso per ciò che ho fatto. Sai bene dove sono diretta. Questo non è un addio, ma un arrivederci. Grazie per ciò che hai fatto per me. Ed ora, ti prego, brucia questo biglietto. Così che di me non resti davvero più nulla.”
Bruciai il biglietto, ma imparai tutto a memoria. Perché per me furono la prova che era viva. Aveva ucciso quell’uomo ma era viva.
Nadine, era andata via. Quella ragazza minuta, gracile come un fuscello che tutti credevano morta in realtà si era data una seconda possibilità.
Non so se sia mai riuscita ad arrivare ad Avalon.
Ma io me la immagino lì, a vivere una seconda vita. A riprendersi in qualche modo, quegli anni che le sono stati ingiustamente rubati.
Questo è solo uno sciocco diario, ma qui è dove la storia di Nadine non andrà dimenticata. Almeno finchè ci sarò ancora io a parlare di lei. A narrare di una bellissima bambola russa.
[Modificato da Nianna 18/05/2016 11:55]
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†.Una statua dallo splendore del marmo di luna
e una bellezza straziante
da fare desiderare anche l’Inferno per poterla vedere ancora.
L’aveva distratta per un istante,
emergendo sul terrore folle che le invadeva il cervello.
Né morto né vivo,
una creatura del sangue che cammina per l’eternità
su quella soglia che agli umani è consentito varcare una volta soltanto,
senza ritorno.†
[YOUTUBE 480]http://youtu.be/WC-KSGWvMLg[/YOUTUBE]

Grazie Serafin per lo Splendido e Divertentissimo Video *.*
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Post: 26
Sesso: Femminile
15/03/2016 15:11

Karma Registrato

KARMA ATTUALE: 2615 (18/05/2016)

[Modificato da Nianna 18/05/2016 11:56]

Nianna
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