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Kresya [Mezzelfo]

Ultimo Aggiornamento: 20/04/2016 21:44
OFFLINE
Post: 1
Sesso: Femminile
16/04/2016 16:39

Fin dall'alba dei tempi il mondo ha conosciuto innumerevoli storie legate a uomini e donne per metà elfi e metà umani, o come si definirebbero loro né elfi né umani; alcune veritiere, altre sospese su quel filo sottile che separa il reale dal fantastico, altre così intrise di leggenda da risultare incredibili anche per chi - in genere - è disposto a sfociare oltre i limiti imposti dal raziocinio. Che siano storie trascritte o mere superstizioni tramandate oralmente di padre in figlio, però, nessuno ha mai osato asserire che la vita di un mezzelfo si ritagli scarso interesse. Impossibile, forse per via della loro stessa natura, o del fato avverso che inesorabilmente li accompagna fin dai natali.
Questa è la storia di una mezzelfa, una delle tante forse, ma diversa da qualsiasi altra. Un racconto che giace sulle pagine ingiallite di un diario, vergate dalla sua stessa protagonista. Trascritta, si, ma non per questo pretenziosa di credibilità: ai posteri l'ardua sentenza.


Il mio nome è Kresya, il mio cognome non esiste. Sono nata nel cuore della Foresta Nera e la gente con cui ho vissuto da bambina, per via del colore dei miei capelli, mi ha affibiato uno strano soprannome: Rubino della Foresta Nera. Curioso sapere che non ho mai avuto e che probabilmente non avrò mai un cognome, un segno distintivo che mi offra un'identità, un posto nel mondo... Mentre invece di nomignoli e ingiurie varie ne ho collezionati a tal punto da averne perso il conto. A dire il vero non ho neppure la più pallida idea del perchè io stia raccontando al nulla la storia del mio vissuto, forse è stato qualcosa di istintivo, legato ad una lontana speranza... Quella che un giorno, quando sarò ridotta ad un cumulo di ossa o cenere, qualcuno possa leggerla e ricevere una testimonianza del mio passaggio. Probabilmente... Una forzatura per convincermi che, nonostante tutto, qualcuno attribuirà un valore alla mia esistenza, anche un minutissimo ruolo marginale in questa enorme ed eterna opera teatrale.

Il mio nome è Kresya, ormai sarà noto, ma nessuno mi ha mai chiamata così... Neppure Elbereth, mia madre. Anche per lei sono sempre stata il Rubino di quell'enorme foresta, niente di più. Preziosa, certo, ma non al punto da vedermi riconosciuta una dignità all'interno della tribù elfica in cui sono cresciuta. Non ho mai capito con esattezza quali furono le circostanze del mio concepimento, lei è sempre stata molto vaga su questo, ma in qualche modo ho sempre saputo di essere il frutto di un errore grossolano. Non mi è dato sapere se mio padre fosse uno stupratore o un viandante affascinante e cortese, so soltanto che era un umano. Non ho idea di quale sia il suo nome, di come sia fatto il suo viso, non so neanche se sia ancora vivo o meno: non l'ho mai conosciuto e, probabilmente, non lo incontrerò mai. Fatto sta che, mia madre, in qualche modo si ritrovò costretta a fare i conti con ciò che conseguì naturalmente da quella notte di passione - o ahimè, di efferata violenza. I ricordi più lontani rimasti vivi nella mia memoria mi raccontano di una fanciullina troppo diversa dai suoi coetanei per riuscire a farsi accettare, di giochi iniziati e mai volti ad una conclusione perchè interrotti troppo presto da stupide diatribe; per me prive di significato, per loro questioni fondamentali, esistenziali oserei dire. Sono nata emarginata e non potevo far altro che crescere da emarginata, adesso ne ho coscienza ma in quel periodo non capivo. Non riuscivo a comprendere perchè tutte quelle cose brutte capitassero proprio a me, e soprattutto solo a me. L'unico conforto erano le braccia di Elbereth, tanto calde ed accoglienti nonostante la glacialità e la rigidità austera del suo volto; il canto degli uccelli, l'incresparsi delle acque del fiume, il cervo che prima si lasciava ammirare in tutta la sua maestosità e che poi fuggiva, sparendo tra le fronde. E poi, si, quelle meravigliose lezioni che mi hanno fornito un'istruzione di base, tramite le quali sono riuscita - anche se un po' a fatica - ad imparare a leggere e scrivere in elfico. Parlarlo ormai era facile per me, era l'unico linguaggio che conoscessi, ma la mia morfologia era diversa da quella degli elfi... Dicevano che somigliassi più ad un umana che ad una di loro, e io me ne convincevo pienamente perchè effettivamente di tanto in tanto incombevo in diverse difficoltà di pronuncia legate alle mie limitazioni vocali. Forse non lo facevano con cattiveria, ma credevo di essere una ragazzina stolta, una perfetta incapace. Non capivo che fosse necessario uno sforzo più da parte loro piuttosto che da parte mia, il problema ero io e dovevo riuscire a riscattarmi, dovevo dimostrare a tutti quanti che con l'impegno anch'io sarei stata degna... Una di loro.

E così, seguendo la corrente di quei pensieri che oggi un po' mi fanno vergogna, tentai il tutto per tutto... Ormai cresciuta e non essendo più una bambina - anche se forse bambina non lo sono mai stata veramente considerando i trascorsi della mia infanzia - capii che dovevo fare qualcosa, qualunque cosa che potesse confermare prima a me stessa e poi anche a tutti gli altri che il mio posto era davvero lì, che sarei diventata qualcuno: dovevo riuscire a farmi accettare, una volta per tutte. Durante una festa cerimoniale, che prevedeva anche una competizione di caccia riservata a tutti i giovani del villaggio, chiesi ad Elbereth di poter partecipare. Lei andò su tutte le furie e mi spiegò che inanzitutto i giochi legati ad una cerimonia elfica potevano essere disputati solo e soltanto da elfi, e poi che era permesso partecipare solo ai giovani di sesso maschile. Quella fu la prima ed unica volta in cui riuscii a disubbidirle: rubai un arco lungo dalla rastrelliera, insieme ad una faretra... E nel pieno svolgimento della gara feci raggelare il sangue di tutti quelli che mi videro inoltrare nella foresta con arco alla mano e faretra in spalla. Provarono a fermarmi, ma la mia ostinazione era pazzesca e in qualche modo riuscii a seminarli. Iniziai ad osservare attentamente l'ambiente circostante, con le orecchie sempre in all'erta in cerca di un minimo rumore che potesse segnalare la presenza di un animale selvatico. Un grosso cinghiale sbucò fuori da un cespuglio, sentii il mio cuore palpitare per la prima volta nella mia vita. Mi sentivo viva, ero stracolma di quell'adrenalina che mi impediva di valutare tutto in maniera razionale. Fui molto istintiva, troppo: incoccata la freccia alla corda dell'arco... Presi la mira per un breve istante, poi la lasciai partire pregustando il sapore del successo. Era come sapere che, una volta abbattuta quella creatura, tutti sarebbero rimasti di sasso. Che avrebbero capito di che pasta ero fatta, che mi avrebbero rivolto il primo sorriso dopo lunghi anni di ripetute occhiatacce. Ma, ahimè, la freccia sfilò sopra il dorso di quel maledetto cinghiale e - ancora peggio - più che terminare la sua gittata tra i cespugli o sul tronco di un albero... Si conficcò nella gamba sinistra di un giovane elfo che, forse, aveva adocchiato la mia stessa preda. Ho rimosso molti ricordi legati a quel tragico evento, ma il suo urlo straziante lo ricordo ancora... Eccome. Rischiò di morire dissanguato, i sensi di colpa mi imponevano di rimanergli accanto fino all'ultimo ma non mi fu permesso di farlo. Per fortuna si salvò, ma sapevo benissimo che il peggio doveva ancora venire e che tutto il peggio di quel mondo concentrato in quegli innumerevoli ettari di verde rigoglioso si sarebbe riversato su di me, a picco sulle mie spalle, come una cascata furiosa composta da acque oscure e gelide. Se prima non avevo ottenuto altro che diffidenza, da allora mi sarei guadagnata anche il loro più profondo e viscerale disprezzo. Mi chiesero di andarmene, mi dissero che non avrebbero sprecato neppure un briciolo del loro prezioso tempo per valutare un'adeguata punizione alternativa. Non capirono perchè l'avevo fatto, non mi fu neanche permesso di spiegar loro che si era trattato di uno spiacevole incidente: per loro una come me era nata per far prosperare il male e la cattiva sorte. Da parte loro fu come se il mio gesto fosse stato del tutto intenzionale, non faceva alcuna differenza. Tornai a casa, Elbereth sapeva che da lì a breve sarei andata via e che quello sarebbe stato il nostro ultimo giorno insieme. So che mi voleva bene, lo so per certo, ma quando mi lasciai il villaggio alle spalle e mi vide sparire tra gli alberi della foresta non versò neppure una lacrima.

Da lì cominciò il mio eterno peregrinare: non sapendo né dove andare, né cosa ne sarebbe stato di me, mi feci guidare dall'istinto e cercai di sopravvivere in quel luogo selvaggio con le mie sole forze, il più a lungo possibile. Per fortuna prima di abbandonare il villaggio e la comunità mi venne riempito uno zaino con del pane elfico affinchè potessi rimanere in forze per molti giorni, e una quantità considerevole di attrezzi e strumenti vari per affrontare qualsiasi evenienza. C'erano corde, pietre focaie e acciarino, coltelli, vestiti puliti, una coperta e perfino un telo larghissimo per la costruzione di una tenda. E' per questo che, nonostante la solitudine e la malinconia, non riuscii a sentirmi totalmente abbandonata a me stessa. Sviluppai una stramba consapevolezza, che mi vedeva troppo distante da quegli elfi per sperare di vivere con loro e come loro, ma mai così lontana da non lasciare che il mio ricordo - di tanto in tanto - si insinuasse nei loro cuori. Non so se corrispondesse al vero o se fosse solo una grossa stupidaggine, ma quella sensazione mi diede forza e mi spinse a rimboccarmi le maniche. Nel giro di pochi giorni imparai a conoscere quella foresta come le mie tasche, a capire come agire di fronte qualsiasi esigenza o pericolo. Fino a quando la sopravvivenza non smise di costituire un'eccezione alla regola, tramutandosi in pura consuetudine. Non so di preciso quanto tempo passò prima che il mio spirito iniziasse a richiedere qualcosa di più che non potevo trovare tra quegli alberi, forse un intero anno solare... Ma qualcosa mi diceva che forse avrei potuto avere di più dal mondo e dalla vita, che imparare a cacciare non sarebbe stato l'unico traguardo da me raggiunto, e che riuscire a farlo sempre meglio non poteva essere l'unica aspettativa da nutrire nel corso della mia esistenza. Non fu una scelta facile, ma decisi di compierla: il Rubino uscì fuori dalla Foresta Nera.

Mi si aprì un mondo del tutto nuovo, che da una parte mi faceva paura perchè non sapevo se ne sarei stata all'altezza, dall'altra mi entusiasmava e mi faceva venire voglia di mettermi in gioco. Pensai che uno degli obiettivi prioritari fosse quello di conoscere gli umani, la gente come mio padre, quell'uomo che mi ha messa al mondo e che probabilmente non è neppure mai venuto a conoscenza della mia esistenza. Forse cercavo un termine di paragone tra due razze diverse, tra gli elfi e gli uomini, per capire se io fossi più vicina agli uni piuttosto che agli altri. Raggiunsi così una cittadina, Highwatch Hill: attraversate le sue porte osservai con meraviglia quegli esseri che sapevo essere comunissimi ma che, per me, godevano quasi di un fascino esotico. Provai a fermare dei passanti per chiedere loro delle informazioni, ma mi accorsi che questi non riuscivano a capire nessuna delle parole che uscivano fuori dalla mia bocca. Come avevo fatto a non pensarci? Io parlavo la lingua elfica, non il linguaggio comune! Scoppiai a ridere, fu la prima volta in assoluto che lo feci e mi piacque moltissimo. Potevo farlo, senza che qualcuno di mia conoscenza mi giudicasse come al solito. Poi fu solo questione di pochi giorni, dopo essere riuscita ad imparare l'elfico fin dalla più tenera età... Apprendere anche la lingua comune fu davvero un gioco da ragazzi. Ma quella fu solo la prima novità, la prima scoperta, ne sarebbero seguite molte altre.
Conobbi osterie e locande, il vino e l'erba pipa, i canti e il chiasso, l'ebbrezza e le risse: fu amore a prima vista. Non era solo entusiasmo temporaneo, passeggero. No, non erano sensazioni legate a ciò che per me era nuovo, sconosciuto. Sentivo che tutte quelle stranezze accendevano in me uno strano fuoco, che scaldava senza scottare, che potevo attutire ma mai spegnere del tutto. Una passione pura, genuina. Mi piaceva Highwatch Hill, pensai di stabilirmi in quella città in pianta stabile, mi illusi che nelle mie vene scorresse più sangue umano che elfico.
Iniziai a frequentare una banda di bricconi, ragazzi come me che - al contrario degli adulti - non facevano fatica ad accettarmi per quella che ero e che soprattutto non temevano l'idea di fissarmi negli occhi più a lungo di quanto fosse consentito dalle buone maniere. Loro non si voltavano dall'altra parte non appena osservavano quelle mie orecchie che di elfico ed umano avevano ben poco, forse perchè erano reietti tanto quanto me: rubacchiavano qua e là vivendo alla giornata, frequentavano i luoghi più affollati a tutte le ore del giorno e della notte, si divertivano da matti. Con loro la diffidenza non era un limite da superare, proprio non esisteva. Anche se a me risultava un po' difficile, riuscimmo ad entrare in confidenza e - una volta consideratami una di loro - decisero che era giunto il momento di farmi conoscere il grande Lord Karl Von Heiden. Uomo che avevo solo sentito nominare in un paio di occasioni, non avevo la benchè minima idea di chi potesse essere.

Quando lo vidi per la prima volta capii subito che tale Lord Karl Von Heiden, nonostante quel lungo nome, non era affatto un nobile di Highwatch Hill. Era un uomo enorme, davvero gigantesco, dalla barba poco curata e con uno sguardo tutt'altro che rassicurante. Era semplicemente l'uomo per cui lavoravano, l'uomo per il quale volevano che lavorassi anch'io. Il primo impatto fu alquanto destabilizzante, perchè nonostante in un primo momento egli mi travolse con uno sguardo agghiacciante, cattivo e colmo di disprezzo come se stesse osservando uno scarafaggio da pestare sotto i piedi, subito dopo palesò un sorriso falsissimo... Si mostrò cortese e, dopo avermi presa a braccetto, mi spiegò che avrei cominciato a guadagnare fin da subito una discreta somma di denaro e che mi avrebbe condotta da un suo collaboratore. Raggiunto il luogo nel quale lo avremmo incontrato... Mi chiese di aspettarlo fuori, perchè prima avrebbe avuto da discutere alcune questioni private e delicate a tu per tu con quel tipo. Dunque rimasi lì a pazientare, ma la mia curiosità la fece da padrone e non potei fare a meno di scostare leggermente un lembo di tenda per sbirciare verso l'interno... Li vidi parlare ma senza riuscire a captare una sola parola, sia per via della distanza, sia perchè i due comunicavano a bassa voce, quasi sussurrandosi. Poi, con sommo stupore, vidi con chiarezza Lord Von Heiden ricevere un sacchetto stracolmo di denaro. Stava per tornare da me, lo sapevo, così come avevo capito chiaramente che quell'energumeno - pur avendomi conosciuta pochi istanti prima - mi stava vendendo come se fossi stata di sua proprietà. Avrei voluto fuggire, ma ebbi giusto il tempo di elaborare quel proposito nella mia mente senza riuscire a concretizzarlo... Lord Von Heiden uscì in fretta da quello strano posto e mi si avvicinò: fuggire sarebbe stato stupido, mi avrebbe fatta acciuffare nel giro di un battito di ciglia e dopo forse me l'avrebbe fatta pagare cara. Feci buon viso a cattivo gioco, fingendomi più ingenua di quanto non lo sia mai stata, e lo assecondai quando mi chiese di entrare e di fare ciò che il suo compare mi avrebbe richiesto: da quel momento non vidi mai più quell'essere ignobile.
L'altro uomo, di cui non seppi mai il nome, mi condusse all'interno di una stanza senza dire una parola. Quel posto era davvero strano, anche se trasudava lusso ed eleganza da ogni poro di ogni parete... In me destava, allo stesso tempo, un senso di squallore e di sudiciume. Mi affidò alle cure di un'anziana signora, Lady Mergal, la quale iniziò fin da subito a riempirmi di attenzioni. Sapevo di non dover mai perdere d'occhio quello zaino che possiedevo fin da quando lasciai il mio villaggio, perchè sentivo che da un momento all'altro sarei dovuta fuggire, al primo campanello d'allarme. Tuttavia per giorni non accadde nulla di spiacevole, niente di niente, anzi... Mergal mi trattò come una principessa, mi fece nutrire come una nobil donna, mi fece fare il bagno dalla servitù ogni sacrosanto giorno, mi fece vestire con abiti di pregiatissima fattura... Si prese cura anche dei miei capelli, usando un grosso ago che inizialmente credevo li avrebbe rovinati ma che, a lavoro ultimato, aveva plasmato sulla mia testa delle stranissime trecce dal fascino unico, esotico, che impreziosivano ulteriormente quei lineamenti fuori dal comune di cui era dotato il mio viso. Mi mostrò anche uno strumento musicale, un liuto, e mi insegnò a suonarlo. Diceva che una ragazza come me doveva poter contare su una discreta quantità di assi nella manica, per gestire con successo ogni genere di circostanza; l'esercizio pratico mi permise di apprendere gli arpeggi di base per accompagnare poesie o canti, il suono che riuscivo a riprodurre - seppur mediocre e ancora lontano dalla perfezione - risultava comunque piuttosto gradevole.
Chiesi a Lady Mergal il perchè di tutte quelle premure, perchè nonostante non avessi mai ricevuto così tanti privilegi in vita mia non smettevo di covare dentro di me quel senso di disagio, quel timore di essere costantemente ingannata nonostante le apparenze. Lei, con tono pacato e soave, mi rispose...

"Devi essere bella, ma soprattutto... Devi essere forte."

Una frase che, ancora oggi, alle volte torna a riecheggiare nella mia mente. Una frase che non dimenticherò mai. Qualche giorno più tardi, finalmente, giunse quella rivelazione che finalmente mi avrebbe fatto comprendere cosa stava succedendo lì dentro e come mai, più che lavorare, non facevo altro che vivere come una donna benestante senza una valida ragione di fondo. Mi chiesero di distendermi sul letto e di riposare un po', poi vidi entrare un uomo sconosciuto che... Non appena mi vide, mi fissò con ingordigia... Vidi chiaramente la sua eccitazione, semplicemente abbassando lo sguardo, e in quel momento la mia testa sembrò scoppiare perchè inondata da un flusso inarrestabile di pensieri che si accalcavano gli uni sugli altri. Quello era un bordello, c'era un motivo se Lady Mergal dedicava tutto quel tempo alla cura della mia immagine, adesso era chiaro anche perchè mi aveva insegnato a suonare il liuto... Per intrattenere gli uomini, nel caso in cui qualcosa fosse andato storto.

"Devi essere bella, ma soprattutto... Devi essere forte."

Quella frase così vaga adesso aveva un senso molto più chiaro, mentre prima sembrava comunicare ben poco adesso racchiudeva tutto, il senso di tutto quello che stava per accadere. La sentii rimbombare nella mia testa come se potesse fracassarmi il cranio da un momento all'altro.
Quell'uomo ansioso di saltarmi addosso mi vide titubante, capì che mi sentivo sia colta alla sprovvista che in trappola. Ma non potevo di certo aspettarmi comprensione ed empatia da parte sua... Iniziò a perdere le staffe.

"Cosa c'è? Ho pagato una fortuna per giacere con te, mi sono stati promessi i servigi di una creatura dalla bellezza unica, dotata di un fascino che non riuscirò mai a trovare in nessun'altra donna. Rispecchi pienamente quanto mi è stato descritto, ma almeno sforzati di sorridere e prova a compiacermi! O prima ti massacrerò di botte, poi ti farò rispedire nella fogna in cui ti hanno trovata!"

Si gettò addosso a me con una foga brutale, ebbi il timore di non riuscire a sfuggirgli, di non avere alcuna possibilità di scampo da tutto quello schifo. Ma poi il fato volle ch'egli allargasse le gambe e che mi concedesse, senza volerlo, la possibilità di colpire i suoi attributi maschili con una ginocchiata così forte da lasciarlo con il fiato mozzato. Si spostò a lato, con gli occhi sgranati: rivolsi il mio sguardo a quello zaino che avevo deciso di tenere sempre con me, lo afferrai velocemente ed iniziai a correre. Una corsa cieca, a gambe levate, senza capire neppure dove stessi andando. Fu allora che mi fu chiaro quanto fosse preziosa la libertà, mi sembrava quasi di respirarne a pieni polmoni, una sensazione di candida purezza davvero indescrivibile. Riuscii a fuggire, abbandonando Highwatch Hill per non farvi mai più ritorno.

Lungo il sentiero sul quale si posavano i miei passi senza meta ebbi l'istinto di fermarmi a riflettere per qualche istante, un po' come se nutrissi l'esigenza di rielaborare tutto ciò che era accaduto con un po' di lucidità. Sentivo che sarei scoppiata in lacrime da un momento all'altro, ma accadde l'esatto contrario: iniziai a ridere a crepapelle, per la seconda volta nella mia vita, ma molto più forte della prima. Davvero di gusto, senza un vero motivo apparente.
Non potevo lasciarmi sopraffare da ulteriore negatività, non dovevo in nessun modo ipotizzare che quelle esperienze fossero una conferma del fatto che non avrei mai trovato un punto d'incontro né con gli umani né con gli elfi. Tutto quel che di brutto mi era capitato andava accettato, forse avrei potuto giovarne per forgiare una personalità molto forte. Pian piano iniziavo a capire il perchè di quella reazione inaspettata, stavo per trovare la mia strada per la felicità, il fato aveva delineato per me un percorso definito. Avevo cercato per tutta la vita una dimora fissa, un ruolo nella società, senza sapere che il mondo intero sarebbe potuto divenire la mia dimora, ogni popolo la mia gente e ogni terra un pezzo di casa mia. Sarebbe stato stupido autocommiserarmi e cercare compassione nel primo viandante incrociato all'interno del villaggio più vicino, cercavo la felicità senza sapere di poterla trovare ovunque meno che nei luoghi in cui mi sarei ostinata a perpetrare la mia ricerca. Non dovevo più rincorrerla, ma lasciare che mi investisse, che mi travolgesse in pieno con tutta la sua piacevolissima irruenza. Iniziai dunque a girovagare un po' ovunque, spinta dalla sete di conoscenza, dalla voglia di viaggiare. Di villaggio in villaggio, di città in città, cominciai ad apprendere usi e costumi e a guadagnarmi da vivere come Menestrello e Trovatore presso le corti, raccogliendo memorie di uomini comuni e non, raccontando battaglie vissute in prima persona. I simboli di quello che era stato il mio calvario continuano ad accompagnarmi, sempre, per ricordarmi chi sono. Il liuto, quei capelli così strani plasmati dalle sapienti mani di Lady Mergal, lo zaino che più volte mi salvò la vita nella foresta, continuano ancora oggi a far parte della donna che sono, della donna che sono diventata. Per il resto, amo ancora di più osterie e locande, il vino e l'erba pipa, i canti e il chiasso, l'ebbrezza e le risse.

Il mio nome è Kresya e sono un Menestrello
Sono il Rubino della Foresta Nera, ma tra le fronde non mi troverai
Sono il canto lieto di un usignolo, catturami perchè sono effimero
Sono una Volpe che ti scruta da cima a fondo, senza che tu te ne accorga
La carezza che ti da conforto e che, un istante dopo, è solo un malinconico ricordo
Sono il vino che scorre a fiumi, che ti inebria e poi ti stordisce
Sono la Vita e sono la Morte, tessute sulle corde del mio liuto


Ne ho sentite di storie, sapete? Molte di gran lunga più travagliate della mia! Ma tra tutte... Quelle che mi incuriosiscono di più sono quelle impregnate di un fascino leggendario, come quelle che si narrano sull'Isola delle Mele, l'Isola di Avalon. Voglio trovare il modo di raggiungerla, per esplorarla e conoscere le sue genti, per assimilarne usi e costumi... Per intrattenere i suoi regnanti, raccontare le superstizioni del suo volgo. Se in quei luoghi esiste davvero la Magia... Bramo di percepirne l'essenza con tutta me stessa. Voglio vedere con i miei occhi le Sacerdotesse che invocano la Triade, i Cavalieri che si prodigano per gli indifesi anche a costo della propria vita, i Druidi che comunicano con gli animali e proteggono lo spirito dei boschi... E poi, come sempre...

Osterie e locande
Il vino e l'erba pipa
I canti e il chiasso
L'ebbrezza e le risse


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Nome PG: Kresya
Karma: 175
Età: 84 anni
Altezza: 1,68 m
Peso: 57 kg
Capelli: Rossi, molto lunghi, raccolti in trecce aggrovigliate
Occhi: Cerulei, se investiti da luce intensa danno l'impressione di tendere al color ambra
Allineamento: Caotico Buono

Skill da BG richiesta: Espressività artistica (ramo Musica) Liv. 1

Richiesta: Conoscenza della lingua elfica (lingua natìa, il linguaggio comune è stato appreso solo in età adulta).

Inoltre richiedo, se è possibile, l'approvazione del possesso di alcuni affetti che il personaggio ha portato con sè sull'Isola:

- Liuto
- Diario personale
- Zaino da esploratore
OFFLINE
Post: 38
Città: ROMA
Età: 29
Sesso: Femminile
20/04/2016 21:44

Eccoci!

BG APPROVATO
SKILL ESPRESSIVITà ARTISTICA (MUSICA) LIV.1 APPROVATO
IL PG CONOSCE L'ELFICO



Per gli oggetti ho chiesto conferma ai Maestri dei Mestieri: non ci sono problemi per il liuto e il diario, mentre lo zaino dovrà necessariamente essere vuoto. Puoi rivolgerti a loro nella sezione apposita per avere le schede di tutto [SM=g8071]

Buon gioco! [SM=g8080]




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