Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

Marquise[DEFUNTO]

Ultimo Aggiornamento: 20/11/2007 15:58
OFFLINE
Post: 14
Città: SASSARI
Età: 35
Sesso: Femminile
20/11/2007 15:54

*1190*

{{Parla Andrè}}

Celine, mia moglie, non poteva avere figli.
Avevamo sempre desiderato un figlio, ma naturalmente quando capimmo ch’ella non poteva averne, il nostro amore l’uno per l’altra non cambiò. Lei era bella, dannatamente bella, come fosse scolpita nel marmo. Ricordo ancora la perfezione delle sue labbra, rosee e sottili, peccaminose…mie.
Qualche volta andavamo a pregare insieme in una cattedrale di Parigi, io chiedevo la sua felicità…credo che lei chiedesse un bambino.
E avvenne un miracolo, le sue devote preghiere furono finalmente ascoltate, e il settimo anno di matrimonio il suo ventre prese a lievitare dolcemente, mese dopo mese. Celine irradiava gioia in ogni suo gesto, ed era, se possibile, ancora più bella di prima. Amava tenere i capelli legati in una coda di cavallo, poiché diceva che se si fosse abituata a tenerli così, non le sarebbe costato farlo una volta nato il bambino…perché i piccoli, quando la madre li tiene in braccio, si divertono a giocare coi suoi capelli.
Una notte, mentre fuori infuriava la tempesta, mia moglie diede alla luce la nostra creatura.





{{Parla Juliet}}

Quando la signora entrò in travaglio io ero preparata, sapevo che il momento era vicino, e avevo tutto pronto…I panni erano sterili e il catino era pieno d’acqua profumata con essenza di camomilla.
La signora gridava, ma io non ero certo agitata, ci sono abituata, ne ho fatti nascere tanti…Davvero tanti. Era tutta sudata e io le asciugavo la fronte mentre lei soffriva…Povera donna. Era così bella che vederla in quello stato mi faceva quasi male. Quegli occhi, così chiari da sembrare addirittura bianchi, cambiavano colore con la luce delle candele.
Dopo qualche ora cominciò il parto, e subito compresi che c’era qualcosa che non andava, qualcosa di strano, e che non avevo mai visto. La signora perse sangue quando le si ruppero le acque, sangue nero.
La prima cosa che uscì fu la testa…aveva già i capelli, neri come il carbone, fradici, impregnati di sangue e liquido amniotico. Ma il viso…la pelle…entrambi scuri come una notte senza stelle, una notte buia. Le orecchie erano spaventosamente lunghe e appuntite, e spiccavano fra i ciuffi sporchi.
La signora non poteva vedere cosa aveva partorito, ma io si, io lo tenevo fra le braccia quel fetido involucro dannato, ma mi costrinsi a non urlare e a compiere fino in fondo il mio dovere, così come mi era stato insegnato. Portai la piccola, perché qualunque cosa fosse era femmina, fino al catino, e ivi la lavai, sperando che il suo colore fosse dato dall’oscuro sangue di quella donna.
E così cominciai a lavare la “cosa”, e mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo nel vedere che i capelli si schiarivano con l’acqua…Ma tremai nel accorgermi di quanto si stessero schiarendo. Il colore non esisteva più su quel crine, erano lingue d’avorio quelle che crescevano sul capo della piccola.
Strofinai tanto da farla piangere, ma la sua pelle restò oscura, e le uniche due stelle che brillavano in quel cielo stregato erano gli occhi della creatura…ghiaccio. Di ghiaccio cangiante erano fatte quelle due perle.




{{Parla Celine}}

Quando la levatrice mi mise fra le braccia mia figlia, mi accorsi che le tremavano le mani, allora alzai il viso e scorsi sul suo volto il terrore. Quando ella sentì che la mia presa era sicura, lasciò andare il fagotto e scappò via. Seppi il giorno dopo che si era gettata nella Senna.
Abbassai dunque lo sguardo sulla mia piccina, e non mi stupii affatto nel vedere che non era umana come me e mio marito, era qualcosa di diverso, qualcosa che non avevo mai visto. Ma era la mia bambina, e l’unica cosa che feci fu stringerla a me amorevolmente. Quello fu il giorno più bello della mia vita.
Nel vedere le orecchie appuntite della mia piccola, portai la mia man dritta all’altezza del mio orecchio destro, carezzando i capelli che ne celavano lo scempio. Quando ero piccola mia madre, la donna che mi trovò sulla soglia di casa propria, mi mozzò le orecchie perché disse che vi era un principio di lebbra, e se non l’avesse fatto si sarebbe sparsa sul mio corpo. Perciò provai una lieve invidia nei confronti di mia figlia nel notare che invece le sue orecchie erano addirittura più lunghe del normale.
Piansi nel guardare quella che ai miei occhi appariva una bellissima creatura, nel comprendere quanto sarebbe stata dura la sua vita…Avrei potuto mozzarle le orecchie, e dire che vi avevo scorto un principio di lebbra, ma non sarebbe servito, poiché la sua pelle gridava a gran voce una diversità che non si può celare.
Forse la mia madre adottiva mi mentì, forse anche io avevo quelle orecchie…forse è semplicemente una malattia ereditaria, ma ancora non riuscivo, e forse non volevo, a spiegarmi il colore nero della sua pelle. Quando la piccola mi guardò, notai l’avorio che aveva incastonato al posto degli occhi. Brillava di vari riflessi col danzare delle candele…gli occhi…quegli occhi…erano simili ai miei.
Tuttavia…in quella creatura non vi era la minima ombra d’una somiglianza con mio marito…Non seppi spiegarmi questo, ma certo è che non l’ho mai tradito. Mai.



{{Parla Andrè}}

Non potei tollerare la vista di quel mostro.
Mia moglie aveva dato alla luce un demone, qualcosa che non aveva niente di umano, e, dato che sia io che Celine lo eravamo, evidentemente mi aveva tradito! Amavo molto mia moglie, ma l’onore m’impose di punirla, la denunciai così alla Santa Inquisizione, ma lo feci solo dopo dieci anni, così che sua figlia, bambina senza nome, potesse assistere alla morte di colei che l’aveva partorita. Il frutto del suo ventre era senza dubbio nato dall’unione con il diavolo, e io volevo sbarazzarmi sia di lei che della sua figlia oscura.
Il rogo fu eretto nella piazza principale della città, portai con me la bambina, per mostrarle cosa sarebbe capitato a lei il giorno dopo. Era notte, e Celine era al centro dell’attenzione di tutti, legata al palo, con addosso solo una camicia da notte. Era così bella che faceva male guardarla, e fu allora che compresi che la sua beltà era opera del diavolo.
Quando fu gettato un tizzone ardente sugli altri spenti che la circondavano, la fiamma avvampò circuendola come un amante infernale. La prima cosa che prese fuoco fu il bordo della sua veste, e avvenne proprio mentre mi diceva che non mi aveva mai tradito, e che mi amava. I suoi occhi erano sinceri, ma sono sicuro che mentisse, non poteva essere altrimenti.
La bambina urlò qualcosa a sua madre, mentre questa era ormai vestita di fuoco, lo fece in una lingua che non avevo mai udito, e la feci tacere mandandola a terra con uno schiaffo. Celine di rimando le gridò in risposta una frase che non potrò mai dimenticare, la compresi, perché questa era in francese:

““Vivrais ma fille, vivrais tu comme une noble, car tu es une marquise.
Tu es ma Marquise!!!””

E fu sulla parola “Marquise” che Celine scomparve fra le fiamme, inghiottita dallo stesso fuoco che l’attendeva all’inferno. Aveva battezzato la bambina, l’aveva maledetta. Non potevo più aspettare, così mi chinai per prendere quel piccolo mostro e gettarlo nelle fiamme, ma mi accorsi che non c’era più.





{{°Parla Marquise°}}

La vidi bruciare.
Vidi mia madre, l’unica persona che abbia mai amato, bruciare in un rogo d’odio e disperazione, artificio di stoltezza e ignoranza, fumo di perdizione. E giurai, giurai che quel essere inutile che era mio padre sarebbe morto per mano mia.
Per mano della Marchesa.
Fu così che appena mia madre scomparve, scappai lontano da lui. Ho sempre visto perfettamente al buio, lui invece non poteva certo farlo, lui era umano. Lui.
Tornai qualche giorno dopo nel Palazzo che fino ad allora era stata la mia casa, ma lo feci di notte. Lui dormiva un sonno agitato, che si placò appena gli conficcai il pugnale nel petto.




{{Parla Brigitte}}

Ero entrata come ogni mattina nella stanza del signore per svegliarlo e portargli la colazione, avevo un po’ paura di lui da quando aveva fatto condannare al rogo la signora. Solo dopo aver aperto le imposte mi accorsi che il letto era vuoto, il signore era riverso sul pavimento in una pozza di sangue, un coltello piantato nel petto.
Scappai via gridando, non potrò mai dimenticare quell’immagine, sapevo chi era stato, nonostante nella stanza non vi fosse alcuna traccia, era stata Marquise! Ero sicura che sarebbe tornata a vendicare la propria madre.
Decisi di non tornare più in quella casa, andai via persino dalla Francia stessa per dimenticare, non certo per paura, no, perché avrei dovuto averne? Aiutavo la signora ad allevare la sua bambina, lo feci perché ero devota a Celine, una donna il cui ricordo resterà per sempre nel mio cuore. Era bella come qualcosa di proibito, di sacro, ed era buona come il pane.
Tuttavia nel mio cuore ci sarà uno spazietto anche per il ricordo di sua figlia, la piccola marchesa. Certo era un assassina, ma l’amore per una madre può spingere ad atti disperati, e il suo lo era di certo. Era una bambina di poche parole, ma io sapevo bene che nella sua mente infuriava una tempesta di pensieri.





{{Parla Etienne}}

Mi occupai io dell’istruzione della piccola. La chiamavo marchesa, come tutti del resto. Sua madre non le aveva voluto dare alcun nome, così era stata sempre chiamata col titolo nobiliare suo di diritto. Venni a sapere solo in seguito alla sua scomparsa che quell’appellativo era divenuto il suo nome: Marquise.
Mi giunse anche voce che uccise suo padre tagliandogli la gola, ma io sinceramente do poco conto a queste chiacchiere da sobborghi. Come avrebbe potuto farlo una bambina così gracile e piccola? Una bambina di soli dieci anni.
Secondo me è stata rapita da degli zingari.
Non posso comunque negare che era una bambina strana, sia nell’aspetto che nel carattere. Aveva i capelli bianchi come l’avorio, liscissimi. Quando facevamo lezione con la finestra aperta, d’estate, ricordo che bastava un alito di vento per farglieli ondeggiare. E quegli occhi, quasi del tutto simili a quelli di sua madre. Odiavo quegli occhi cangianti nei riflessi, talvolta diventavano del tutto bianchi, e io sentivo un profondo ribrezzo crescermi dentro, ma mi pagavano profumatamente, perciò non smisi di insegnare alla loro bambina…alla Sua bambina.
Il padre meno la vedeva meglio stava, così la evitava in tutti i modi lasciandone la crescita alle sole mani della moglie e della serva Brigitte.
Marquise apprendeva spaventosamente in fretta i miei insegnamenti, non faceva mai domande, comprendeva ogni nozione al primo tentativo. Era molto silenziosa, ma credo che questo dipendesse solo dal fatto che era anche particolarmente diffidente. Non avevo mai visto una bambina tanto intelligente, e se lo dico io che sono un maestro, bè potete credermi sulla parola.


*1290*

{{°Parla Marquise°}}


Col passare degli anni compresi che la vita per me scorreva ad un’andatura diversa da quella degli altri. Passò un secolo intero prima che io raggiungessi una forma adulta, una forma simile a quella che aveva mia madre quando fu uccisa.
Il mio tempo pareva non scorrere mai.
Ho desiderato la morte per tanto tempo, ma questa mai è arrivata, nemmeno quando ho provato ad infliggermela io stessa. La mia era la peggiore delle maledizioni: ero condannata a veder morire gli altri.
Persino il sole mi ripudiava, bruciava infatti la mia pelle ogni volta che sostavo per troppo tempo sotto i suoi raggi, fui costretta così a procurarmi un mantello nero, a indossarne sempre il cappuccio, un po’ per nascondermi dal sole, un po’ per nascondermi alla vista della gente.
Ho sempre vissuto in Francia, ma nel sottosuolo. Imparai a conoscere le fogne di Parigi come fossero casa mia…Ma chi voglio prendere in giro? Erano casa mia.
Per cibarmi rubavo nei negozi, nessuno mi ha mai vista sotto il nero mantello, nessuno ha mai osato guardarci sotto. Credo che tutti mi considerassero una persona come un’altra, solo più riservata. Ma io non lo ero, non ero normale, non lo sono tuttora e mai lo sarò. Non so perché i miei capelli sono d’avorio, la mia pelle d’ebano e le mie orecchie a punta. Credo invece d’aver ereditato gli occhi da mia madre, ma non ne sono più tanto sicura.
Mi gettai una notte nella Senna, per suicidarmi, ma quando persi i sensi non fu la morte ad accogliermi, bensì un luogo sconosciuto, nelle cui rive il mio corpo riprese conoscenza…Barrington.
Oramai convivo pacificamente con la mia immagine, col mio aspetto. Non saprò “cosa” sono, ma certo è “chi” sono.


Io sono la marchesa
[Modificato da _Marquise_ 20/11/2007 15:58]
Amministra Discussione: | Riapri | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 17:47. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com