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BIBLIOTECA AULA DI POESIA

Ultimo Aggiornamento: 09/07/2008 19:41
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Post: 572
Città: MILANO
Età: 59
Sesso: Maschile
09/07/2008 19:39

POESIA GRECA E LATINA (raccolte)


ORIGINI DELLA POESIA

La poesia è nata dalla necessità di aggiungere un suono vocale al ritmo martellante delle musiche primitive. Solo molto tempo più tardi, a seguito dell'invenzione della scrittura, parola e musica poterono scriversi in qualche modo e differenziarsi. Fece dunque la sua comparsa, la poesia scritta. Tuttavia la comune parentela con la musica si fa ancora sentire.
Se vogliamo avere un punto di riferimento cronologico, per quanto concerne almeno la nostra letteratura occidentale, possiamo dire che in Grecia, intorno all'VIII sec. a. C. - e cioè con l'introduzione della scrittura alfabetica - si cominciò a mettere per iscritto i versi cantati dagli aedi ("Iliade" e "Odissea"). [Poesia lirica: da lira, strumento musicale].

Le parole hanno valore non tanto per il contenuto che esprimono, ma essenzialmente per l’armonia, il suono che generano quando s’incontrano, dopo essere state scelte e avvicinate dall’autore. Ciò ovviamente non significa che i testi poetici siano privi di contenuti; vuol dire semplicemente che nella comunicazione poetica, la forma è importante almeno quanto il contenuto.
Nel linguaggio comune riferendoci al termine “poesia”, solitamente intendiamo due cose. Nel senso più tecnico, abbiamo in mente un pensiero o un discorso, un messaggio, che rispetta regole e consuetudini definite, nel quale si impongono musicalità, ritmo, simmetrie, corrispondenze, misura, e acquista concretezza la possibilità di forzare il significato consueto delle parole che si arricchiscono di un senso nuovo. D’altro canto, possiamo usare il termine "poesia" in senso figurato, e ci riferiamo in questo caso a qualcosa di incantevole, splendido, importante, elevato, emozionante, confortante, fantastico, in grado magari di aprirci una via di evasione dalla monotona realtà quotidiana grigia e a volte dolorosa. (Ad esempio: “la poesia di un tramonto”, “la poesia di un incontro...”, etc.)

POETI GRECI


Alceo

Bevi e inébriati con me, Melanippo. Che pensi?...
Una volta varcato l'Acheronte vorticoso
non tornerai più a vedere la luce pura
del sole. Suvvia, non nutrire speranze grandi.
Anche Sisifo, il re figlio di Eolo,
di tutti il più scaltro, pensava di vincere la morte.
Pur molto accorto, ma soggetto al destino,
due volte varcò il vorticoso Acheronte
e una pena grande diede a lui da soffrire sotto la terra nera
il re Cronide. Ma a queste cose non pensare.
Finché siamo giovani, ora più che mai dobbiamo
sopportare le pene che il dio ci dà.

°°°°°°
La grande stanza luccica
di bronzo; la sala è adorna per Ares
di elmi lucenti, sui quali ondeggiano
bianchi cimieri equini,
ornamento per la testa d'eroi.
Schinieri di bronzo, splendenti,
tutt'intorno disposti, difesa dal forte
dardo, nascondono i chiodi.
E corazze di lino nuovo:
scudi concavi giù deposti:
e accanto, lame calcidesi;
e accanto, molte cinture e tuniche corte.
Tutto questo non possiamo noi dimenticare
una volta cominciata quest'impresa.
Il figlio di padre ignobile,
Pittaco, con grandi lodi - tutti, compatti - elessero
tiranno della città senza bile e sventurata.
Inumidisci i polmoni di vino. La Costellazione compie il suo giro.
La stagione è soffocante. Tutto ha sete per la calura.
Dai rami echeggia dolce la cicala.
Fiorisce il cardo. Ora, le donne sono più impure,
e i maschi smunti: la testa e le ginocchia
Sirio brucia...


Alcmane

... Ordite imprese
malvagie, essi soffrirono pene indimenticabili.
Vi è una punizione divina:
è felice chi, saggio,
trascorre il giorno
senza pianto. Io canto
la luce di Agido. Vedo lei
come il sole, che Agido
invoca, perché risplenda
a noi. Né di lodarla
né di biasimarla mi consente
la nobile corega. Ella sembra
spiccare, come se tra le mandrie
ponesse qualcuno un cavallo robusto,
vincitore di gare, dallo zoccolo risonante,
dei sogni alati.
Non vedi? Venetico
è il destriero; e la chioma
di mia cugina
Agesicora fiorisce
come oro puro.
E il volto argenteo -
ma perché dire apertamente?
Lei è Agesicora.
Seconda, in bellezza, Agido
come cavallo Colasseo correrà accanto all'Ibeno.
Come l'astro Sirio levandosi,
esse, le colombe, fanno guerra
a noi che portiamo l'aratro alla dea del mattino,
nella notte divina.
Né sazietà di porpora,
tanta da poterci difendere,
né screziato serpente
tutto d'oro noi abbiamo, né mitra
lidia, ornamento di fanciulle
dallo sguardo dolce;
né le chiome di Nanno abbiamo,
é Areta simile a una dea,
né Tilaci né Cleesitera;
né andata da Enesimbrota:
«Sia mia Astafi,
volga verso di me lo sguardo Fililla,
e Demareta e Iantemi adorabile», dirai,
ma: «ÈAgesicora che mi consuma».

Non è qui Agesicora
caviglie sottili;
ella resta accanto a Agido,
e loda la nostra festa.
Accogliete, o dèi,
la loro preghiera: degli dèi è il compimento
e la fine. Lo dirò,
o corega: io, fanciulla,
ho gracchiato vanamente come civetta
da una trave. Ad Aotis
soprattutto io voglio piacere: a noi
fu sollievo dagli affanni.
Da Agesicora le fanciulle
conseguono la pace desiderabile.

°°°°°°
Muse dell'Olimpo, colmate
l'animo mio di desiderio
del nuovo canto: io voglio ascoltare
la voce delle vergini
che innalzano al cielo il bell'inno;
così, più facilmente,
dalle palpebre dileguerà il sonno dolce.
Sùbito, la voglia mi prende di scendere in gara,
dove scuoterò la chioma bionda.
..E con desiderio che fiacca le membra, lancia sguardi
più struggenti del sonno e della morte;
e non vanamente ella è dolce.
Ma Astymeloisa non mi risponde.
Cingendo la corona,
come stella che solca
il cielo splendente,
come ramoscello d'oro o soffice piuma,
passò attraverso
il gruppo delle compagne, con piedi veloci;
e l'umida grazia di Cinira, che rende belle le chiome,
siede sui capelli della vergine.


Anacreonte

1.
Con una palla purpurea, di nuovo,
Eros chioma d'oro mi colpisce,
e mi invita a giocare
con una fanciulla dal sandalo variegato.
Ma lei - è di Lesbo
ben costruita - disprezza
la mia chioma che è bianca,
e di fronte a un'altra sta a bocca aperta.

2.
O signore, col quale Eros giovenco
e le Ninfe occhi azzurri
e Afrodite purpurea giocano, per le balze
alte dei monti ti aggiri:
vieni - ti supplico -
a noi, e gradita
ascolta la mia preghiera:
a Cleobulo dà buoni
consigli; egli accetti,
o Dioniso, il mio amore.

3.
Fanciullo sguardo di vergine,
io ti bramo. Ma tu non ascolti:
non sai che dell'animo mio
tieni tu le briglie.


Bacchilide

1.
PER ARGEO DI CEO PUGILE RAGAZZO, VINCITORE
NELLE GARE ISTMICHE

Balza, o Fama che doni la gloria,
verso la sacra Ceo, recando
la notizia grata
che nella lotta delle mani audaci
Argeo riportò la vittoria.

Di imprese belle ha suscitato il ricordo,
quante nel glorioso collo dell'Istmo
lasciata l'isola divina
Euxantide, noi mostrammo
con settanta corone.

La Musa indigena evoca
uno strepito dolce di flauti,
onorando con epinici
il caro figlio di Pantide.


Callino

Fino a quando sarete oziosi? Quando avrete un animo forte,
o giovani? Non provate vergogna, così neghittosi,
dei vostri vicini? Stare seduti in tempo di pace
voi sembrate, ma la guerra possiede l'intero paese.

Mentre muore, ognuno per l'ultima volta scagli la lancia.
È cosa onorevole e splendida per l'uomo combattere
contro i nemici, difendendo la terra, i figli e la moglie
legittima; allora la morte verrà, quando le Parche
l'abbian filata. Brandendo in alto la lancia,
avanzi ognuno diritto, e sotto lo scudo raccolga
il suo cuore valoroso, non appena s'accenda la mischia.
Che un uomo sfugga alla morte non è concesso dal fato,
neppure se è prole di antenati immortali.
Spesso, chi fugge la lotta e lo strepito dei dardi
ritorna, e in casa lo coglie destino di morte.
Ma costui non è caro al popolo né desiderabile mai;
l'altro, umili e potenti lo piangono se qualcosa gli accade.
Tutto il popolo ha rimpianto dell'uomo valoroso
quando muore, ma se vive è degno dei semidèi;
nei loro occhi lo vedono quasi fosse una torre:
da solo egli compie imprese degne di molti.


Ibico

1.
In primavera, i meli cidoni
irrorati dalle correnti dei fiumi,
- là dov'è il giardino incontaminato
delle Vergini - e i fiori della vite,
che crescono sotto i tralci ombrosi,
ricchi di gemme, germogliano. Per me Eros
in nessuna stagione si posa:
ma come il tracio Borea,
avvampante di folgore,
balza dal fianco di Cipride con brucianti
follie e tenebroso, intrepido,
custodisce con forza, saldamente,
il mio cuore.

2.
Di nuovo sotto le palpebre fosche
Eros mi lancia uno sguardo struggente,
e con multiformi malie mi getta
nelle reti inestricabili di Cipride.
Io tremo al suo venire,
come un cavallo aggiogato, vincitore negli agoni, vicino a vecchiaia,
controvoglia scende alla gara con il carro veloce.

Mimnervo

1.
Che vita mai, che gioia senza Afrodite d'oro?
Ch'io sia morto quando più non mi stiano a cuore
l'amore segreto, i dolci doni e il letto:
questi sono i fiori della giovinezza, desiderabili
per gli uomini e le donne. Quando poi dolorosa sopravviene
la vecchiaia, che rende l'uomo turpe e cattivo,
sempre nell'animo lo corrodono tristi pensieri;
e di vedere i raggi del sole non gioisce,
ma è odioso ai ragazzi e in dispregio alle donne:
così penosa fece il dio la vecchiaia.

2.
Come le foglie che fa germogliare la stagione di primavera
ricca di fiori, appena cominciano a crescere ai raggi del sole,
noi, simili ad esse, per un tempo brevissimo godiamo
i fiori della giovinezza, né il bene né il male conoscendo
dagli dèi. Oscure sono già vicine le Kere,
l'una avendo il termine della penosa vecchiaia,
l'altra della morte. Breve vita ha il frutto
della giovinezza, come la luce del sole che si irradia sulla terra.
E quando questa stagione è trascorsa,
subito allora è meglio la morte che vivere.
Molti mali giungono nell'animo: a volte, il patrimonio
si consuma, e seguono i dolorosi effetti della povertà;
sente un altro la mancanza di figli,
e con questo rimpianto scende all'Ade sotterra;
un altro ha una malattia che spezza l'animo. Non v'è
un uomo al quale Zeus non dia molti mali.


Pindaro

Udite: il campo di Afrodite
occhi vivaci o delle Grazie
noi ariamo, muovendo al tempio
ombelico della terra altitonante;
qui, agli Emmenidi felici, alla fluviale Agrigento
e a Senocrate, per la vittoria pitica,
è costruito, nella valle ricca d'oro
di Apollonia, un tesoro di inni,

che mai la pioggia invernale - esercito
irruento e spietato
di nuvola risonante - né il vento con detriti
confusi percuotendolo sospingeranno
negli abissi del mare. Nella luce pura, la sua fronte
annuncerà nei discorsi dei mortali,
o Trasibulo, la vittoria illustre, comune a tuo padre e alla stirpe,
riportata col carro nelle valli di Crisa.

Nella mano destra serbandolo, tu guidi
dritto il precetto
che una volta - narrano - sui monti
il figlio di Filira impartì al Pelide,
separato dai suoi genitori: tra gli dèi, onorare
soprattutto il figlio di Crono, dalla voce grave, signore
dei lampi e dei fulmini; e non privare mai di questo onore
i genitori per la vita che loro è destinata.

In altro tempo, sentimenti simili nutriva
il forte Antiloco,
che morì per il padre, affrontando
Memnone sterminatore, re
degli Etiopi. Colpito da frecce di Paride,
bloccava un cavallo il carro di Nestore. Protese
Memnone la lancia possente. Turbata, la mente
del vecchio Messenio gridò il nome del figlio.

A terra non cadde la sua parola. Lì
resistendo, l'uomo divino
comprò con la sua morte la vita del padre;
e compiuta l'impresa immane, egli parve
ai più giovani della stirpe antica
il più grande per virtù verso i genitori.
Ma questo è passato. Dei giovani di ora, più di tutti
Trasibulo procede secondo la norma paterna

e segue lo zio in ogni splendore.
Con senno egli usa la ricchezza,
e coglie una giovinezza non ingiusta né tracotante;
ma negli antri delle Pieridi coltiva la poesia,
e a te, Scuotitore della terra, che governi le gare dei cavalli, o Poseidone,
si dedica, con animo fervente.
Dolce anche nei rapporti conviviali, la sua indole
supera l'opera traforata delle api


Saffo

1.
Afrodite, trono adorno, immortale,
figlia di Zeus, che le reti intessi, ti prego:
l'animo non piegarmi, o signora,
con tormenti e affanni.
Vieni qui: come altre volte,
udendo la mia voce di lontano,
mi esaudisti; e lasciata la casa d'oro
del padre venisti,
aggiogato il carro. Belli e veloci
passeri ti conducevano, intorno alla terra nera,
con battito fitto di ali, dal cielo
attraverso l'aere.
E presto giunsero. Tu, beata,
sorridevi nel tuo volto immortale
e mi chiedevi del mio nuovo soffrire: perché
di nuovo ti invocavo:
cosa mai desideravo che avvenisse
al mio animo folle. "Chi di nuovo devo persuadere
a rispondere al tuo amore? Chi è ingiusto
verso te, Saffo?
Se ora fugge, presto ti inseguirà:
se non accetta doni, te ne offrirà:
se non ti ama, subito ti amerà
pur se non vuole."
Vieni da me anche ora: liberami dagli affanni
angosciosi: colma tutti i desideri
dell'animo mio; e proprio tu
sii la mia alleata.

2.
Un esercito di cavalieri, dicono alcuni,
altri di fanti, altri di navi,
sia sulla terra nera la cosa più bella:
io dico, ciò che si ama.
È facile far comprendere questo ad ognuno.
Colei che in bellezza fu superiore
a tutti i mortali, Elena, abbandonò
il marito
pur valoroso, e andò per mare a Troia;
e non si ricordò della figlia né dei cari
genitori; ma Cipride la travolse
innamorata.
Ora mi ha svegliato il ricordo di Anattoria
che non è qui;
ed io vorrei vedere il suo amabile portamento,
lo splendore raggiante del suo viso
più che i carri dei Lidi e i fanti
che combattono in armi.

3.
Simile a un dio mi sembra quell'uomo
che siede davanti a te, e da vicino
ti ascolta mentre tu parli
con dolcezza
e con incanto sorridi. E questo
fa sobbalzare il mio cuore nel petto.
Se appena ti vedo, sùbito non posso
più parlare:
la lingua si spezza: un fuoco
leggero sotto la pelle mi corre:
nulla vedo con gli occhi e le orecchie
mi rombano:
un sudore freddo mi pervade: un tremore
tutta mi scuote: sono più verde
dell'erba; e poco lontana mi sento
dall'essere morta.
Ma tutto si può sopportare...


Tirteo

1.
Per un uomo valoroso è bello cadere morto
combattendo in prima fila per la patria;
abbandonare la propria città e i fertili campi
e vagare mendico, è di tutte la sorte più misera,
con la madre errando e con il vecchio padre,
con i figli piccoli e la moglie.
Sarà odioso alla gente presso cui giunge,
cedendo al bisogno e alla detestata povertà:
disonora la stirpe, smentisce il florido aspetto;
disprezzo e sventura lo seguono.
Se, così, dell'uomo randagio non vi è cura,
né rispetto, neppure in futuro per la sua stirpe,
con coraggio per questa terra combattiamo, e per i figli
andiamo a morire, senza più risparmiare la vita.

2.
Al nostro re Teopompo, caro agli dèi,
per merito del quale conquistammo Messene, dalle ampie contrade.
* * *
Messene, luogo bello per arare, bello per piantare
* * *
intorno ad essa combatterono per diciannove anni,
sempre, senza interruzione, con animo coraggioso,
i guerrieri, padri dei nostri padri.
E nel ventesimo anno, lasciati i pingui campi,
quelli fuggivano dalle alte cime dell'Itome.




POETI LATINI


Catullo

Solcato in fuga a vele spiegate il mare profondo,
Attis correndo raggiunse d'impeto il bosco frigio
e in mezzo alla foresta i luoghi oscuri della dea;
fuori di sé, in preda a una furia rabbiosa,
si recise il sesso con una pietra aguzza.
Sentì così ogni forza d'uomo sfuggirgli dal corpo
(goccia a goccia il suo sangue bagnava la terra);
strinse nelle mani candide il piccolo tamburo
di Cibele (il tuo tamburo, dei tuoi misteri, madre)
e battendo con dita delicate la sua pelle
in un tremito si rivolse alle compagne:

'Venite, Galle, venite tra i boschi di Cibele,
venite tutte, gregge errante della dea di Dindimo:
cercando esuli terre lontane, al mio comando
per seguirmi vi siete affidate, voi mie compagne,
che avete sfidato la furia rabbiosa del mare
e per orrore di Venere vi siete evirate,
rallegrate di corse pazze il cuore della dea.
No, no, nessun indugio, venite tutte, seguitemi
alla casa frigia di Cibele, alle sue foreste,
dove rombano i tamburi, dove squillano i cembali,
dove risuonano cupe le melodie del flauto,
dove, cinte d'edera, si dimenano le Mènadi,
dove con acute grida si celebrano i riti,
dove svolazza l'orda vagabonda della dea:
là con le nostre danze impetuose dobbiamo andare'.

Il canto di Attis ermafrodito alle compagne
provoca nella schiera un urlo scomposto di voci,
brontolano i tamburi, strepitano i cembali,
e corrono tutte al verde Ida come impazzite.
Perduta in un delirio se ne va Attis affannata,
guidandole tra boschi oscuri al suono del tamburo,
come una giovenca selvaggia che rifiuti il giogo:
dietro la sua furia si precipitano le Galle.
Raggiunto il tempio di Cibele cadono sfinite
e morte di fatica si addormentano digiune.
Languidamente un torpore suggella i loro occhi
e spegne nel sonno la furia rabbiosa del cuore.

da: ''Solcato in fuga a vele''

2.
Non ti stupire se nessuna donna, Rufo,
vuol concederti il suo tenero corpo,
nemmeno se la tenti col dono prezioso
di una veste o la malia di un gioiello.
Hai una triste fama: sotto le tue ascelle
pare che viva un orrido caprone.
Questo il timore. Certo: è una mala bestia
e le belle donne con lei non dormono.
Allontana l'incubo di questo fetore
o non stupirti se quelle ti fuggono.

da: ''Non ti stupire se..''


Lucrezio

Fra questi primeggia Empedocle di Agrigento,
che entro le sue rive triangolari produsse l'isola
intorno a cui fluttuando negli ampi anfratti il mare
Ionio spruzza dalle onde glauche le salse spume,
e per angusto stretto acque impetuose dividono
con le onde le rive della terra Eolia dal suo territorio.
Qui è la devastatrice Cariddi e qui i boati dell'Etna
minacciano di raccogliere di nuovo le ire delle fiamme,
sì che ancora la sua violenza vomiti fuochi prorompenti
dalle fauci e al cielo lanci di nuovo folgori di fiamma.
E se questa regione appare in molti modi grande, meravigliosa
alle genti umane, e si dice che sia degna di essere veduta,
opima di cose buone, munita di molta forza di uomini,
pure sembra che in sé non abbia avuto nulla di più glorioso
che quest'uomo, nulla di più santo e mirabile e caro.
E invero i canti del suo petto divino
svelano a gran voce ed espongono gloriose scoperte,
sì che a stento sembra nato da stirpe umana.


Marziale

1.
Aspro ama una donna
bella, bella veramente;
ma egli l'ama ciecamente,
di fatto egli dunque l'ama
più di quel che veda.

da: "Amore cieco"

2.
Perché i pallidi fiori dei crochi
venuti di Cilicia
non temano la bruma,
né morda il giardino delicato
un'aura troppo gelida,
vetrate opposte ai venti invernali
ricevono un sole puro
e una luce filtrata.
A me, invece, è stata assegnata
una stamberga con una finestra
che ha entrambe le imposte sgangherate.
Neppure Borea in persona, io ritengo,
oserebbe abitare in tale stanza.
Così, crudele, credi tu ospitare
un vecchio amico tuo?
Sarò ospite dunque più sicuro
di un albero tuo.

da: "Un ospite poco riguardoso"

3.
Il tuo schiavo ancora non t'annunzia
l'ora quinta del dì che tu di già
arrivi a casa mia da commensale,
o Ceciliano,
quando la quarta rauca ora
interrompe le cause in tribunale
e l'arena ancora fa cacciare
le fiere per la festa dei Florali.
Orsù! Corri, Callisto, chiama i servi,
prima che si lavino nel bagno,
si preparino i letti del triclinio.
Ceciliano, tu mettiti a sedere.
Chiedi dell'acqua calda:
in casa non m'arriva neanche fredda;
gelata è la cucina, ancora chiusa,
e spento il focolare.
Da me vieni piuttosto di mattina,
perché tardare sino all'ora quinta?
Tu arrivi troppo tardi, Ceciliano,
per far colazione.

da: "Un malcapitato commensale"




scritto da:
Ser Nahmanen Sway
Poeta d'Accademia
Tutor e Jarl Gaelico del Clan Nordico



Re Cervo Bianco )O(
Artista d’Accademia: Poeta
Jarl Gaelico del Clan Nordico
Tutor


[Modificato da Nahmanen 09/07/2008 19:41]
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