SLANGE [ASSENTE]

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Slange
00venerdì 21 dicembre 2007 10:50
Antico
Ulv Slange.

Sangue: ANTICO.

Doni del sangue predominanti: ENTRAMBI.

Morto il I di Diur.

Rinato la stessa notte come Serpe dei ghiacci, Lama d' Ombra dei Moth.

Figlio di Nihadiel Eelai, Volpe divina dei Moth.

Skills comuni: SOTTERFUGIO (3), FURTIVITA' (3), CONOSCENZE STORICHE (3).

Skills di razza: Dominio (4), Veggenza (4), Tenebra (4), Vigore (4),
Celerità (4), Istinto (4).


Mutaforma di Istinto (3):

- Forma da combattimento: Canis lupus communis (Lupo grigio).

- Forma di fuga: Colubrina grigio-fulva (Serpente) striata di
bianco.


EDIT: ULTIMO KARMA RISCONTRATO: 28.000
Slange
00venerdì 21 dicembre 2007 10:53
BACKGROUND UMANO
Erano tre giorni che l' uomo dai capelli biondi inseguiva la donna e il bambino. Li avrebbe raggiunti molto prima se il destino infame non avesse deciso di fargli azzoppare il cavallo. Aveva persino dovuto ingurgitare quella carne stoppacciosa, macellando in fretta e furia le parti più morbide della bestia per recuperare il tempo perduto. Alla fine il freddo stava avendo da solo la meglio sui due braccati ed il giorno di vantaggio che avevano guadagnato alla partenza sarebbe stato del tutto annullato al tramonto successivo. '' Perfetto '' Penso l' uomo.

Non era particolarmente alto per un uomo nato in siberia, nè robusto come i suoi compaesani. Aveva il tipico volto piatto di quelle parti, con un' espressione piatta. Tuttavia le sue sopracciglia folte e quello sguardo azzurro gli conferivano un' aria misteriosa. Infatti i suoi occhi erano cupi e fremevano di una luce sinistra, come quella che il cielo assume quando il mare minaccia tempesta. Il suo temperamento non era stato da meno e come molti figli irrequieti suo zio, pensavano i suoi genitori, avrebbe saputo mitigarlo. Così quel ragazzo fin troppo vivace fu affidato alle cure di Nikolay, che di mestiere faceva il carovaniere. E in un clima del genere devi imparare a spostarti prima che il ghiaccio ti impedisca di usare un carro ed il freddo ti prenda i polmoni e le ossa. Il nuovo tutore non era poi una persona particolarmente solare e sul corpo del ragazzetto si accumularono lividi e tagli.

Si scostò qualche ciocca bionda dal volto, massaggiandosi poi le guance per ritrovare un pò di tepore. Farsi crescere la barba non bastava a tenere lontano il vento gelato, ma di certo aiutava. Metodicamente si tastò addosso. Sotto un mantello foderato di pelliccia di orso portava abiti imbottiti e lana spessa e alla cintura erano ancora assicurati i pugnali, con l' elsa fatta di pelle di capra e trattata in maniera che non si congelasse. I guanti pesanti, cuoio fuori e lana dentro, impedivano alle mani di intorpidirsi, rendendogli tuttavia più difficile i movimenti agili per cui tanto, in passato, era stato apprezzato. Scosse la testa e scrollò le spalle, togliendosi un pò di quella neve che gli si era posata addoso, proseguendo il suo inseguimento fuori dal sentiero.

Un paio d'anni sono lunghi da sopportare. Soprattutto per chi è giovane e irrequieto. E maneggiare un coltello per uno che si trova ogni giorno a rischiare di incappare in qualche brigante o è costretto alla caccia in zone così impervie diviene spesso facile. Così il nipote uccise lo zio, fermando l' ennesimo scatto d' ira con il freddo metallo che gli morse lo stomaco, recidendogli le viscere. Fu la prima volta che uccise e gli piacque a dire il vero quella inebriante sensazione di poter dettare una legge che per morale si attribuisce solo alle divinità o alla natura. Visse per strada da quel giorno in poi, imparando a sopravvivere e a vendere il suo spericolato talento. Un nobile del luogo, anni dopo, non mancò di notarlo.

Fu costretto ad accellerare il passo e ad alzare un braccio per ripararsi dalla tormenta che andava aumentando. Strinse i denti. Il ginocchio sinistro gli doleva, non era più quello di un tempo. Tra poco avrebbe compiuto 40 anni suonati. Se voleva beccare quei due doveva farlo in fretta. Presto non sarebbe stato in grado di continuare ed inoltre non aveva più cibo con se. Si maledisse. A quell' età contava ancora troppo sulle sue doti fisiche. Conosceva quella zona, ci era già stato una volta. E se le voci che facevano la donna che stava braccando una pratica dei viaggi, poteva facilmente intuire dove si sarebbe messa al riparo assieme al figlio. Avrebbe sorriso compiaciuto, se il freddo non gli avesse intorpidito la bocca.

Il nobile era più giovane del ragazzo di pochi anni. Era alto, robusto e sicuro di se. Allo sbandato piacque subito e per molti anni lavorò al suo servizio, tanto da divenire la sua guardia del corpo, la sua ombra e il suo emissario di morte. Poi un giorno fu convocato. Un giorno che gli rimase impresso nella memoria a lungo. ''Popoli lontani ci minacciano. Si chiamano Mongoli, vivono al di là dei monti. Sono forti combattenti, ma vivono divisi in tribù. Se il loro capo muore, la tribù difficilmente ritrova il proprio equilibrio''. Così fu spedito lontano da casa, in terra straniera, con l' unico, vago obiettivo di assassinare quanti più capi tribù poteva in una manciata di anni. Aveva con se oro a sufficienza da sistemarsi in una piccola fattoria più a sud, ritirarsi a meno di trent' anni da quel suo cruento mestiere, farsi una famiglia e tutto il resto. Ma gli occhi, specchio dell' anima, lasciavano intuire facilmente da quale parte l'ago della bilancia si sarebbe piegato.

La grotta era proprio dove la ricordava. Forse un tempo era stata la tana di un branco di lupi. Era bassa e stretta e le orme di due passi di lunghezza differente erano ancora visibili sopra la coltre di neve che si andava ispessendo per via della bufera incombente. Si fermò a debita distanza, portando una mano alla bocca. Quella tosse non voleva più abbandonarlo. Sputò sangue di nuovo, macchiando il manto candido che rivestiva la terra e i suoi stessi guanti. Non si era ancora fatto visitare da un cerusico, ma immaginava già che la morte avesse deciso di fargli visita sotto la strana forma di una malattia che non ha rimedio. Si pulì la bocca con il dorso della mano e quindi avanzò. Quando si piegò per attraversare l' ingresso alla caverna nella sua mano guizzava il riflesso metallico di un lungo pugnale.

Lo stesso suo padrone, il nobile per cui tanto aveva fatto, non avrebbe mai immaginato che quell' assassino, ormai vecchio, potesse tornare. Era stato davvero bravo però a fingersi per tutti quegli anni un mercenario e uccidere ben cinque capi tribù. E dalle voci che arrivavano dalle carovane fino in città, tre di queste tribù si erano distrutte poi da sole con lotte intestine, tanti erano gli uomini che rivendicavano il titolo di khan. Il ragazzetto sbandato, un tempo abile nel suo sporco mestiere, era ora un vecchio, temuto più per fama che per riflessi e forza, che ogni giorno andavano abbandonandolo in un lento e graduale declino, era stato sbattutto in cella, come un giocattolo dimenticato. Ma lui non si era affatto dimenticato. Gliel' avrebbe fatta pagare al traditore del suo padrone, a lui e a quella sgualdrina della sua sposa. Gli avrebbe ucciso anche il figlio, sì. L' unico figlio che tanto aveva faticato ad avere. Gli avrebbe tolto tutto quello a cui il prigioniero aveva dovuto rinunciare per servire il suo nobile padrone. E avrebbe cominciato con lo sbarazzarsi della guardia, attirandola con una scusa banale, non appena quella dannata tosse secca avesse smesso di fargli prudere la gola.

Aveva dovuto abbandonare i guanti assieme ai corpi, poichè nella fretta di uccidere le sue prede li aveva completamente imbrattati di sangue. Si mise il sacco coi viveri dei due cadaveri su una spalla, a loro non sarebbero di certo serviti, sgusciando di nuovo fuori all' aperto. La bufera era passata. Alzò lo sguardo verso il cielo che il sole cominciava solo ora a illuminare di azzurro. Chissà quanto gli rimaneva da vivere. Senza una meta precisa riprese il proprio cammino.
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