So già che dimenticherò qualcosa...
BG:
L’uccellino era con loro da un paio di giorni ormai e ancora non aveva voluto mangiare niente. Era così piccolo che persino la mano di una bambina riusciva a raccoglierlo. Ad Ophelia piaceva tanto quel piccolo esserino piumato, e già s’immaginava, un domani, di poterlo richiamare a sé con un fischio. Quel pomeriggio, mentre sua madre preparava il pranzo, si chinò sulla scatola dove riposava la bestiolina e lo prese con la mano sinistra, volgendo a se stessa il petto dell’animale. Nella destra aveva una briciola di pane e tutta l’intenzione di fargliela mangiare. Il passerotto però spostava la testa dal lato opposto ogni volta che lei gli avvicinava il cibo. Non era certo una bambina cattiva, non si accorse mica di stringere troppo la mano con cui lo teneva. Infatti da principio non comprese cosa fosse accaduto. Vedeva semplicemente che l’uccellino aveva improvvisamente smesso di muoversi. Giaceva nella sua mano immobile e solo dopo qualche attimo si accorse che era morto. Che lo aveva ucciso lei. Chiamò la madre col tono che hanno i bambini quando sono spaventati e colpevoli allo stesso tempo. Sperava di sbagliare e che il piccolo stesse adoperando una tattica perché spaventato. Ma la madre le schiuse le dita e le disse che lo aveva ucciso.
Accorse anche il padre (un uomo buono, di origini italiane), sentendo il pianto della figlia, e confermò la diagnosi di sua moglie.
Non volevano farla sentire in colpa, certo. Ma di fatto, per quanto dolci fossero i loro toni e amorevoli le loro parole, non riuscirono a nascondere alla bambina quanto loro stessi si sentissero in colpa per non aver protetto da lei l’uccellino. Lasciare una creatura così indifesa fra le mani di una bambina piccola era stato da irresponsabili.
Il tempo trascorse su quell’episodio portandolo lontano dalla memoria di tutti e tre. Quando Ophelia divenne più grande, e capitava che l’episodio venisse ripescato dal passato per raccontarlo a qualcuno, tutti e tre ci ridevano su, con una lieve malinconia nello sguardo. Non era nulla di grave, in fondo, la morte di un uccellino. Era stato un incidente.
Quello che Ophelia non disse mai a nessuno -non con la convinzione con cui lo diceva a se stessa, almeno- era che, per quanti anni passassero e per quanto fosse stata piccola quel giorno, il ricordo ne era indelebile. Potevano sfumare i contorni della stanza, tutto ciò che avvenne subito dopo, ma l’istante preciso della morte dell’uccellino, quello no. Quello restava perfettamente immutato nei suoi ricordi. Un’altra cosa che si trascinava dietro da quel giorno, era la sensazione dell’irreversibilità della morte. Aveva desiderato così tanto e per così tanto tempo di poter tornare a solo qualche attimo prima, in modo da non stringere così forte il corpicino dell’animale, che quasi sperava di mettere in moto chissà quale ingranaggio dell’universo e vedere esaudito il suo desiderio. Ma non si mosse niente, e il passerotto rimase morto.
Fu per lei un microtrauma: questo è ciò che si raccontava ogni volta che faceva pensieri cattivi.
Ophelia è una brava ragazza, non ha mai dato un dispiacere ai propri genitori e ha condotto egregiamente tutti gli studi che questi le hanno potuto pagare. Non è mai stata brava a farsi degli amici, per colpa della timidezza, ma si è sempre consolata col pensiero che crescendo le cose sarebbero cambiate.
Quando uccise l’uccellino, aveva soltanto sei anni. Più o meno l’età in cui conobbe Suor Terence. Si faceva chiamare così sebbene avesse abbandonato ormai da anni la vita in convento. In casa però continuava ad indossare la veste ed il cilicio. Pregava Cristo e rifuggiva il Demonio. E non si sa se sia stato il primo o il secondo a farla capitare nella vita di Ophelia. Tutto accadde per caso, quando la suora, che si manteneva da vivere lavorando come insegnante privata, fu contattata dalla madre di Ophelia, che riteneva la figlia troppo “particolare” per poter essere inserita in una scuola pubblica. Fu da quel giorno, probabilmente, che nacque la frase “le madri hanno sempre ragione”.
Suor Terence accettò di buon grado e cominciò a dare lezioni alla piccola. La prima lezione, che riguardava la scrittura, si trasformò nel pallido tentativo di farla diventare destrosa, poiché Ophelia era mancina e, si sa, la sinistra è la mano del diavolo, e questo Suor Terence non poteva certo accettarlo. Ogni giorno si esercitavano insieme, con metodi più o meno ortodossi. La bambina non si lamentava, e cominciò a sviluppare in effetti una certa abilità con la mano destra. Ma ciò che alla suora teneva nascosto, era che a casa continuava ad esercitarsi anche con la mano sinistra, per non perderne le capacità. Continuava ad essere quella, infatti, la mano dominante.
Col passare degli anni, Ophelia si mostrò una bambina prodigio e poi una ragazza molto, molto sveglia. Tutto ciò che la suora le insegnava, non aveva bisogno di esser ripassato, poiché la sua allieva lo assimilava alla stregua di un foglio che s’impregna d’inchiostro. Sarebbe stata fiera di lei, tanto fiera, e magari avrebbe anche potuto affezionarcisi, se non fosse che il diavolo sembrava aver preso molto più che la sua mano.
Dalle memorie di Suor Terence:
“Ophelia ha qualcosa che non va.
Apprende tutto troppo velocemente e trovo che il suo interesse volga sempre più verso letture e fatti storici legati alla violenza ed al sangue. È una brava ragazza, non mi ha mai dato modo di punirla. Ma, che Dio mi perdoni per questo, non desidererei altro. C’è un male che non conosco, nel suo spirito. Teme le persone, non esce mai di casa (a meno che non debba recarsi presso la biblioteca) e tiene spesso le imposte chiuse, in camera sua. Si giustifica dicendo che il sole non le piace molto e che le ombre la fanno sentire più protetta. Signore salva questa creatura prima che si perda nelle tenebre del diavolo. Salvala da se stessa. Salvala da Satana.
Salva tutti noi,
da entrambi.”
Suor Terence morì di vecchiaia quando Ophelia aveva vent’anni, dopo averle insegnato praticamente tutto ciò che sapeva.
La vita di Ophelia è stata molto noiosa: nessun avvenimento degno di nota, nessun grande amore. Soltanto il lento susseguirsi dei giorni e degli anni, e la sempre più presente e persistente consapevolezza di essere sbagliata. Per evitare di impazzire, cominciò a tenere un diario. Nulla più che un taccuino nel quale annota tuttora frasi, pensieri, dialoghi immaginari. Tutto ciò che le passa per la mente, insomma.
“Quando ero piccola, ho ucciso un uccellino.
Era un passerotto che papà aveva trovato fra le radici di un albero, probabilmente caduto dal nido. L’ho ucciso per sbaglio, senza nemmeno rendermene conto. Da allora forse qualcosa si è rotto nella mia testa, o magari sono semplicemente più intelligente degli altri e questo mi permette di vedere più a fondo. Non sono pazza, o magari si.
Ho molte paure, molte più di quante non ne hanno le mie cugine. Mi spaventano le persone, mi terrorizza dover parlare con loro. E mi terrorizza uscire di casa, affrontare la folla, i negozianti. In biblioteca ho trovato diversi libri interessanti.“
Le lunghe e noiose giornate della giovane, si spostarono sempre più spesso dalla sua camera alla biblioteca, dove riusciva a fare amicizia con molte, moltissime persone. Il fatto che fossero tutte rinchiuse fra le pagine dei libri, non le importava, non finchè non cominciò a desiderare di vivere ciò che vivevano i personaggi di quei racconti. Non le interessava trovare marito e vivere per sempre felice e contenta, non erano quelle le storie che amava. Le piacevano i racconti d’avventura, di tensione, di paura. Gli anni continuavano a passare e nella sua collezione si accumulavano storie terribili: più sangue c’era, più la tenevano incollata alle pagine. A volte le capitava di sentirsi in colpa per questo, e si giustificava nel suo diario.
“So di essere una brava persona, e immagino che sia proprio questo il punto: le cose cattive mi piacciono perché non le conosco, giacchè in me non c’è nemmeno un briciolo di cattiveria. Gli opposti si attraggono, dicono. E se tutto ciò che è male mi attrae, significa che io ne sono l’opposto. Questo mi riempie di gioia ma al contempo lascia in me un vuoto incolmabile. Mi sento incompleta, incompresa, incapace di vivere appieno la mia vita. La vedo passarmi davanti e sento che la sto sprecando.”
Fu senz’altro per questo motivo che decise di lasciare la casa dei genitori. Non aveva dietro nessuna storia triste, poiché questi erano vivi, vegeti ed in buona salute. Nessuna tragedia con cui giustificare quella partenza. O forse se ne andò perché aveva letto ormai ogni singolo libro della biblioteca. Era così codarda, che scelse di non andare troppo lontano, in modo da poter tornare da mamma e papà se avesse avuto troppa paura del mondo. Il destino volle che la scelta ricadesse su Barrington, un luogo cattivo, puzzolente, malfamato. Già, il destino…come no.
La verità è che Ophelia è davvero una brava ragazza. E davvero ogni cosa le mette paura. Ma è ossessionata dalle cose cattive, e questo la rende forse più cattiva di un demonio. È plagiabile, debole, insicura ed indifesa.
Non è forse l’agnello la preda preferita del lupo?
PG:
Karma: 505
Nome: Ophelia
Età: 35 anni
Altezza: 1,65 m.
Peso: 50 kg
Occhi: Marroni
Capelli: Castani
Origini: Nata e cresciuta in Britannia da madre bretone e padre ialiano.
Allineamento: N/M tendente C/M
Spiegazione allineamento: Molti aspetti dell'allineamento ancora devono venir fuori ma essendo io a muoverlo so come si comporterebbe in determinate situazioni anche se queste non si sono ancora presentate. Ophelia è in apparenza una persona normale e mite. Ma l'allineamento è Neutrale Malvagio perchè non avrebbe pietà nell'uccidere qualcuno in quanto sarebbe dominata, più che dai rimorsi, dalla curiosità personale di vedere qualcuno morire.
Tendente Caotico Malvagio perchè potrebbe compiere alcuni gesti tipici di questo allineamento (non tutti) come per esempio usare la tortura per piacere personale (sempre legata non al sadismo quanto alla curiosità).
Spero che la questione allineamento sia spiegata bene, nel caso mi rimetto al giudizio altrui.
Segni particolari: Sociofobia.
Spiegazione segni particolari: La sociofobia non è una malattia mentale ma una vera e propria fobia (come l'aracnofobia, per intenderci) quindi non credo ci siano problemi per la sua approvazione. Di seguito ne metto la descrizione
Sociofobia: paura intensa e pervasiva di trovarsi in una particolare situazione sociale, o di eseguire un tipo di prestazione, che non siano familiari e da cui possa derivare la possibilità di subire un giudizio altrui. Si tratta di un particolare stato ansioso nel quale il contatto con gli altri è segnato dalla paura di essere malgiudicati e dalla paura di comportarsi in maniera imbarazzante ed umiliante. Le persone affette da questa fobia, evitano situazioni spiacevoli e, se sono costrette ad affrontarle, sono molto a disagio con loro stesse. (//Wikipedia)
SKILL RICHIESTA:
Ambidestria livello 1
[Modificato da || Ophelia || 02/10/2013 15:53]